Lo "sceriffo di Salerno" è uno dei puntelli della leadership renziana
Di Pietro Mancini
Don Vincenzo, pur vanamente "mascariato" dalla Bindi, è vivo, ha vinto e lotta insieme a noi. Nella notte della disfatta calcistica del Napoli, De Luca ha tenuto alta la bandiera della politica seria e della buona amministrazione.
E lo "sceriffo di Salerno", oltre a strappare la Campania alla destra del troppo leggero Caldoro, da problema, per Matteo, è diventato uno dei puntelli più saldi della leadership renziana, indebolita dai risultati del PD, tutt'altro che esaltanti, nelle regioni del Nord. Anche se la candidatura di donna Raffaella Paita è stata indicata non dal segretario del PD, bensì da Claudio Burlando, ex dalemiano, che, per 10 anni, ha governato, male, la Liguria.
Sconfitti, oltre a Caldoro, anche Rosy Bindi e don Roberto Saviano, come ha ammesso, ieri, "Il Fatto Quotidiano". I campani hanno espresso un voto ragionato, promuovendo un amministratore di lungo corso, efficiente ed esperto, e bocciando le "liste di proscrizione". Con quegli elenchi di presunti "impresentabili", si intendeva, in pratica, non solo decapitare De Luca. Ma, soprattutto, far emergere la tesi che, in Campania e nel Mezzogiorno, fanno politica, e guidano gli enti locali, personaggi discussi e chiacchierati, quando non collusi con i clan.
Sono stati pochi, e lo scrivente tra loro, a essersi opposti alla subalternità della politica, pur con tutti i suoi limiti, ai moralizzatori in toga, a quelli con il computer e a quelli assisi sulla poltrona di Presidente di una delicata commissione parlamentare, che fu guidata, in passato, con ben altro rigore e con imparzialità, dai Chiaromonte e dagli Alinovi, del Pci.
Adesso, però, De Luca non accolga sulla sua nave tutti i naufraghi, non ricicli i trombati e bocci i salti della quaglia e i gattopardismi, esiziali, in passato, per il Sud.
Il PD, nel Mezzogiorno, dove governa ovunque, diventa una sorta di DC degli anni ruggenti della "balena bianca". Non commetta gli stessi errori del partitone bianco, imbarcando tutti, come accadde ai tempi dei finanziamenti a pioggia e del vecchio assistenzialismo.
Insomma, De Luca ed Emiliano, in Puglia, si comportino come medici attenti e rigorosi nei confronti della vecchia, storica malattia delle classe dirigenti meridionali : il trasformismo del notabilato del Sud, denunciato da Gaetano Salvemini nel secolo scorso.
I due nuovi governatori si muovano con impegno, nei loro primi 100 giorni, per fermare il degrado delle classi dirigenti meridionali, di destra e di sinistra, che negli ultimi 20 anni hanno, clamorosamente, fallito. E richiamino il governo a prestare maggiore attenzione alle esigenze più acute delle regioni meridionali, dove FI è diventato un piccolo, marginale partito.
Da parte sua, Renzi ha annunciato che si occuperà, forse con al suo fianco la bella e brava Boschi, del rilancio del suo partito, di cui è segretario.
Evidentemente, seppure in ritardo, ha capito che non ci può essere una svolta, nel Paese, se non c’è drenaggio di energie e idee nuove. E un partito capace di farlo, mettendo i suoi vecchi notabili nella condizione di non nuocere più.
Allo "sceriffo di Salerno", reso più simpatico e popolare, anche fuori dalla Campania, dalla mitragliata bindiana, chiediamo di battere un primo, incisivo colpo: a Capo della Sanità campana, collochi un manager competente, cacci i lottizzati, che hanno fatto salire, vertiginosamente, il deficit.
La pessima, sinora, gestione della sanità, insieme alla disoccupazione, resta il problema numero uno della regione. De Luca licenzi don Angelo Montemarano, attuale Presidente dell'Agenzia regionale della Sanità. Tra il 1999 e il 2005, quando il dirigente irpino, da sempre vicino a De Mita, era manager della Asl di Napoli 1, la più grande della Campania, l'azienda sanitaria divenne la più indebitata del Paese, con un rosso da 3 miliardi di euro.
L'allora governatore, Bassolino, lo liquidò ma, ormai, i danni erano irreparabili. Nel 2009, proprio donna Rosy Bindi lo sostenne, quando Montemarano si candidò al Parlamento europeo. Raccolse 83 mila preferenze, ma non venne eletto.
Storie, non nuove e non edificanti, del vecchio Sud degli inciuci, dei trasversalismi, degli accordi per la gestione del potere e per la spartizione delle poltrone, che i nuovi governatori devono, con coraggio e determinazione, archiviare.