Politica
Crisi di governo: Draghi, dal “Whatever it takes” al Grande Fratello

Il film che abbiamo di fronte ha una sceneggiatura scontata, le prossime elezioni saranno la liberazione nazionale dal tecnicismo famelico draghiano
Crisi di governo, draghi sotto assalto di Conte, Di Battista, Il Fatto Quotidiano e Salvini
Il Domani ci ha ricordato con un bell’articolo di Franco Bruni che 10 anni fa Mister Mario Draghi, allora presidente della BCE, annunciò il suo famoso “Whatever it takes”: avrebbe fatto tutto il necessario a preservare l’euro. Continua il Domani, “c’era adrenalina nei mercati che, dieci anni fa, portarono l’euro sul punto di spezzarsi, con la reintroduzione delle monete nazionali; la moneta unica era incompatibile con tassi di interesse troppo diversi fra i paesi dell’eurozona”. Mario Draghi non disse nulla sugli strumenti che avrebbe messo in campo ma i mercati, prosegue Bruni, “compresero che si sarebbe trattato di un sostegno ai prezzi dei titoli di Stato dei paesi più indebitati, fra i quali l’Italia”.
Se allora Draghi diede prova di vero leader che nei momenti difficili decide (dopo aver superato enormi resistenze interne) e ci mette la faccia, oggi ce lo immaginiamo perplesso, di fronte ai Conte e ai Salvini, consapevole di essere sulle sabbie mobili dove le dichiarazioni ufficiali valgono zero, la parola data è carta straccia e il populismo è la foglia di fico dell’incompetenza. Solo il legame con Mattarella ha tenuto finora Draghi lì a sorbirsi le paternali di Conte o le minacce di Salvini. Il primo in balia di un comico che lo frulla a sua piacimento (spacciandolo per statista o incapace a giorni alterni), il secondo in balia della retorica pro italiani che imbarazzerebbe qualsiasi italiano con un po’ di sale in zucca.
Troppo galantuomo Draghi per trasecolare, troppo intelligente per farsi invischiare nelle polemiche, troppo ironico per prendere sul serio questa tragicommedia nazionale. Deve anche difendersi, Mister Mario, dalla tribù del Fatto che confonde Di Battista con il Che Guevara che dovrebbe riportare i 5 Stelle nell’unico posto dove meriterebbero di stare: a far caciara. Draghi lo immaginiamo così sommerso in queste scaramucce che riesce addirittura a trovare conforto nell’ormai ex pentastellato Di Maio, il quale ha capito che l’esercizio del potere è più nobilitante che sparare cavolate sulla fine della povertà.
Mister Mario ha salvato l’euro perché in quel momento la BCE, dopo aspre battaglie interne, lo seguii convintamente, ora invece i suoi alleati di governo scalpitano come leoni in gabbia per tornare allo stato brado, non ultimo lo strappo dei 5 Stelle di Conte con la patetica uscita dalla Camera (ma non erano loro che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno mentre ora scappano miseramente?) e la decisione di non votare la fiducia al Senato. Ecco che l’avvocato del popolo Conte, in una sorta di legge del contrappasso, ha deciso di trascinare il paese in una riedizione del Papeete (dopo quello di Salvini nel 2020).
Purtroppo il film che abbiamo di fronte ha una sceneggiatura scontata, le prossime elezioni saranno la giornata di liberazione nazionale dal tecnicismo famelico draghiano. L’altro giorno Salvini ha detto: “Voteremo quello che fa bene all’Italia”, ecco la rappresentazione concreta della demagogia. Innanzitutto un partito è giusto che voti a favore degli interessi dei propri elettori, a milioni di Italiani non credo importi il bene dell’Italia in salsa salviniana, in secondo luogo solo un fesso voterebbe coscientemente qualcosa che faccia male all’Italia. Insomma, crisi o non crisi, ne vedremo delle belle, ma noi continueremo, finché avremo fiato, a tifare per Mario Draghi sognando una futura coalizione che lo sostenga alle prossime elezioni evitandoci il rischio di un probabile Grande Fratello Vip.