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Politica
Draghi premier anche dopo le politiche? Chi dice sì, chi dice no

Non c’è solo la ola per Draghi al Quirinale. Negli ultimi tempi, e sempre in maniera più insistente, è iniziata anche quella per Draghi a Palazzo Chigi dopo il 2023. Fa capolino, insomma, l’ipotesi - o meglio la suggestione - di un partito di Draghi che si misuri col voto. Ieri l’auspicio che l’ex presidente della Bce vada avanti “a lungo nella sua attuale esperienza” è stato espresso apertis verbis, tra l’altro davanti al diretto interessato, dal numero uno degli industriali Carlo Bonomi. Ma si sa che questo Governo piace alle imprese. La questione vera casomai è capire come si misurano i partiti con questo scenario.

Il problema non si porrebbe per esempio per Forza Italia. Intanto, è risaputo che Silvio Berlusconi accarezzi non poco l’idea di tentare la scalata al Colle più alto. Se Draghi non fosse in lizza, dunque, non potrebbe che fare gioco al Cavaliere. Per tacere, poi, dei forzisti al Governo, tutti a proprio agio a lavorare in squadra con l’attuale inquilino di palazzo Chigi. Un esempio su tutti lo ha offerto il ministro per la Pa Renato Brunetta lo scorso 3 settembre, giorno del compleanno di Mario Draghi. Nel fargli gli auguri attraverso il canale Telegram, infatti, ha rimarcato le parole “mio Presidente”, il che già suona abbastanza strano per il partito azzurro che ha sempre riconosciuto nel Cav il solo leader.

Certo, il discorso cambia guardando a Fratelli d’Italia. La formazione di Giorgia Meloni è all’opposizione di questo esecutivo di unità nazionale. Se proprio dovesse scegliere tra le due opzioni per l'ex banchiere centrale- Colle e Palazzo Chigi -  è ipotizzabile che FdI opterebbe per la prima. Almeno consentirebbe di tornare al voto che per i meloniani rimane l’unica strada per ristabilire una corretta fisiologica democratica.

E la Lega come si pone di fronte a questi scenari? Qui intanto bisogna distinguere tra Lega di governo e di lotta. L’ala giorgettiana, infatti, se la passa molto bene con l'ex Direttore generale del Tesoro. Ad essere più in difficoltà in questa fase è il leader Matteo Salvini. Ma non è detto, come raccontano ad Affari, che anche a lui alla fine non convenga una prospettiva che veda Draghi ancora impegnato a Palazzo Chigi. Al nostro giornale la spiegano così: “Ci sono le amministrative e c’è lo spauracchio del tanto temuto sorpasso di Giorgia Meloni. Ergo, pur di impedire che sia la leader di FdI il naturale candidato premier del centrodestra, chissà che Salvini non si metterebbe in scia di chi già tra le nostre fila tifa Draghi”. Non manca nel Carroccio, però, chi confuta tale tesi: “Non è certo il nostro partito a temere il voto. Le amministrative sono una cosa e le politiche un’altra. E su quest’ultimo terreno siamo noi il primo partito del centrodestra”.

Nessun problema, invece, dalle parti di Italia viva. D’altronde, Matteo Renzi è stato il vero king maker di questo Governo. Si dirà che fu sempre lui a muovere le fila per portare a meta il Conte due. E’ vero. Ma è altrettanto vero che con l'avvocato del popolo entrò quasi subito in conflitto, mentre con l’ex numero uno della Bce non è così. La luna di miele è destinata a continuare. Anzi, chissà che un partito di Draghi non possa trasformarsi in una sorta di scialuppa per Iv che annaspa nei sondaggi.

Le cose si complicano dalle parti del M5s e del Pd. Nelle due forze di maggioranza che stanno cercando di fare asse alle amministrative e di costruire il cantiere del 2023, le posizioni restano più variegate. Nel Movimento, seppure domini un certo scoramento e la quasi certezza di non poter più replicare i numeri delle scorse politiche, al momento sono tutti sottocoperta, allineati al verbo di Conte. E l’ex premier, si sa, punta tutto sulle prossime politiche. Anche se a mezza bocca qualche Cinque stelle disallineato si trova e dietro garanzia di anonimato, la butta lì con Affari: “Draghi ancora a Chigi dopo il 2023? Molto dipenderà da Di Maio e da quanto sinceramente vorrà dare una mano alla causa Conte…”.

E al Nazareno? Dipende dalle correnti, con buona pace del segretario Enrico Letta che voleva seppellirle. Dentro Base riformista, per esempio, che nel precedente Governo era sempre pronta a puntare l’indice contro la segreteria Zingaretti e l’appiattimento su Conte e il M5s, gli apprezzamenti per Mario Draghi si sprecano. Il senatore Andrea Marcucci, esponente di punta dell’area guidata da Lotti e Guerini, per esempio, ieri non si è fatto sfuggire l’occasione per dare ragione a Bonomi: "Lo scenario ipotizzato da Confindustria, con Draghi a Palazzo Chigi anche dopo il 2023, coincide con il desiderio di tanti, e cosa più importante, con l'interesse del Paese'', ha sentenziato su Twitter.

Quanto all’ala franceschiniana, poi, essendo note le ambizioni per il Quirinale del ministro Dario Franceschini, è facile ipotizzare che un ritorno di Draghi a Palazzo Chigi non dispiaccia. Certo, dovranno vedersela con la sinistra del Pd, a cominciare dall’attuale vicesegretario Giuseppe Provenzano. Venne da lui, a giugno scorso, il graffio al Governo dopo la nomina degli economisti Carlo Stagnaro e Riccardo Puglisi nel Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica della presidenza del Consiglio. “A coordinare e valutare la politica economica nella più grande stagione di investimenti pubblici è opportuno chiamare degli ultras liberisti? Una vita a infamare la spesa pubblica su Twitter, e poi… Ma aggiornare, se non le letture, le rubriche di alcuni consiglieri a Chigi?”, cinguettò.

Senza contare, infine, il Goffredo Bettini-pensiero. Il consigliere politico di Nicola Zingaretti e fautore dell’alleanza giallorossa, infatti, è convinto che quello attuale sia un esecutivo di garanzia repubblicana. No secco, dunque, a qualsiasi tipo di identificazione con un governo e un programma di centrosinistra. Per Bettini, insomma, al prossimo giro la politica dovrà tornare in campo. Per cui meglio un Draghi al Colle.  In ogni caso, anche se il diretto interessato per ora fa spallucce, i fan dello slogan “Un Draghi è per sempre” continuano a crescere.

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