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Politica
"Ecco che cosa non va nel Centrodestra. E' il momento di una federazione"

Elogio dell’eterodossia
I nemici del centrodestra e dove trovarli ovvero gli ostacoli interni al centrodestra e come superarli

 

Che sia un momento di difficoltà del centrodestra è sotto gli occhi di tutti. Che la causa di queste tensioni sia da ricercarsi all’esterno della coalizione, è tutto da dimostrare. Non vi è dubbio alcuno sul fatto che sia interesse della maggioranza dividere l’opposizione. Ma di quanto sta accadendo nel centro destra il governo giallo-rosso è poco più che spettatore interessato.

Non conosco le motivazioni che hanno spinto i tre deputati fuoriusciti da Forza Italia a prendere questa decisione, ma anche se fossero le peggiori non sarebbe un’analisi esauriente quella di definirli dei topi in fuga, come recitava la prima pagina di un quotidiano di area.

Né so se sia vero, come afferma Calenda, che uno di essi avesse tentato prima il passaggio ad Azione. Ma se così fosse dimostrerebbe solo con maggior evidenza che questa ennesima defezione da Forza Italia non si può ridurre ad una semplice rappresaglia salviniana. Su questo torneremo dopo, ma intanto mi concentrerei sul punto centrale. Ed è l’inversione del moto, da centripeto a centrifugo.

Forza Italia ha rappresentato la forza centripeta del centrodestra, riunendo in sé le sensibilità di diverse tradizioni politiche e culturali, dai liberali, ai conservatori, ai riformisti. Tutti hanno trovato una casa e possibilità di espressione nel movimento fondato nel 1994 da Silvio Berlusconi. La sintesi di tutte queste anime: il buon governo. E non è un caso che il centrodestra sia ancora vivo proprio là dove si esercita nell’amministrazione di un territorio.

A livello di partito nazionale invece c’è stato un momento in cui dal modello di grande forza a vocazione maggioritaria, che delle differenze interne faceva ricchezza, si è passati al culto dell’ortodossia di corte.

Ogni minima discrepanza da una linea dettata e mai discussa è diventata causa di progressivo allontanamento. Un sistema ben rappresentato dalle consuete “galassie” proposte dalla stampa, che ha portato alle varie scissioni di coloro che finivano nelle orbite più marginali.

Un progressivo impoverimento di seggi, di voti, di visioni, di idee, di teste.

La mia personale esperienza mi ha visto da entrambe le parti. E qualcuno mi ha anche chiamato in causa negli ultimi giorni come uno dei più recenti ex fedelissimi uscito da Forza Italia. Eppure fino ad un certo punto ero stato impegnato nel tentativo di evitare quelle scissioni. E lo facevo, da un lato, esercitando fino alla fine la mediazione che il ruolo da me ricoperto in quel momento mi consentiva e, dall’altro, lottando per l’innovazione dei meccanismi di decisione e di selezione della classe dirigente del partito.

Finalmente, sembrava che l’obiettivo di anni di impegno fosse stato raggiunto, con la decisione del Presidente Berlusconi di affidare il processo di rinnovamento interno, a partire dalla revisione dello statuto, a Mara Carfagna e Giovanni Toti.

L’illusione è durata poco: gli incarichi svuotati, derubricati, annullati, assieme al processo di rinnovamento.

Il venire meno dei luoghi di confronto e di discussione delle scelte politiche all’interno del movimento berlusconiano è stato il vulnus di cui oggi soffre le conseguenze l’intera coalizione. Perché è vero che era Forza Italia il fulcro del centrodestra. L’anima popolare che non consentiva le devianze populiste. Con una Forza Italia forte difficilmente avremmo avuto un governo giallo-verde, un autentico ircocervo della politica. Una maggioranza che non doveva e non poteva vedere la luce, non solo per una questione di numeri, ma per la capacità del partito di maggioranza relativa, all’interno della coalizione, di mantenere la barra al centro dell’asse  dello schieramento, uno schieramento unito, istituzionale, rispettato in Europa e, in caso di opposizione, valida alternativa di governo.

E arriviamo ai giorni nostri, ai giochini di bassa lega, dalle pregiudiziali contra personam o meglio “contra aziendam” al ratto di parlamentari, mettendo in pratica il principio di ledere l’altro senza trarne alcun giovamento. Non sarà facile, infatti, nemmeno per la Lega assicurare un seggio ai propri parlamentari con l’applicazione della riforma costituzionale. Ancor meno ai nuovi acquisti, perlopiù dei territori in cui il partito salviniano è già numericamente più che rappresentato.

Ciò che dovrebbero sentire adesso coloro che ancora si riconoscono nei valori liberali, più che le sirene di partiti lontani dal rappresentarli, sono i campanelli di allarme. Perché il rischio è la dispersione di una tradizione politica, e lo schiacciamento su posizioni non condivise nemmeno da tutto il corpo dei partiti che le portano avanti.

È dunque imprescindibile e improrogabile iniziare a lavorare concretamente ad una federazione che ricomponga quelle sensibilità, ben distinte dai sovranismi, andando oltre le attuali formazioni. Non si tratta di accantonare un’esperienza o di non riconoscerne la straordinaria storia, quanto di rivivificarla e di ricordare al Paese che gli opposti ideologismi, gli opposti estremismi e gli opposti qualunquismi rischiano di fare perdere la bussola al nostro Paese e di isolarlo in Europa.

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