Politica
ElettoCratura: la deriva del Paese. Dopo le elezioni, patto di riforma urgente

Giorgia Meloni a La Piazza: “I governi non si fanno nel palazzo, ma si fanno nelle urne perché le istituzioni appartengono ai cittadini e non ai partiti"
ElettoCratura: la deriva del Paese. Patto di riforma urgente (e serio) dopo le elezioni del 25 settembre
Tra qualche mese si potrà dire che il 26 agosto del 2022 rappresenti una data cruciale e spartiacque per il Paese, soprattutto, considerate le parole di Giorgia Meloni ascoltate durante La Piazza (Ceglie, Puglia): “I governi non si fanno nel palazzo, ma si fanno nelle urne perché le istituzioni appartengono ai cittadini e non ai partiti, penso che quelle indicazioni vadano seguite”.
Di questa frase ci può interessare un particolare: diversi Governi delle ultime legislature non corrispondevano affatto al risultato elettorale di tornata.
Sul piano politico è indiscutibile, sul piano costituzionale meno (e ciò non vuol dire per forza di cose che sia sbagliata l’affermazione della Meloni per come legata alla questione storica dei “giochi di palazzo”).
Da che mondo è mondo, il palazzo serve alla democrazia nella (positiva) misura ideale in cui il Paese non scivoli nella c.d. democratura.
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Tra democrazia e democratura c’è, d’altronde, una differenza: nella prima il Popolo sceglie liberamente i rappresentanti da mandare in Parlamento; nel secondo caso si tratta di un vero e proprio regime politico improntato alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti a un autoritarismo sostanziale.La parola democratura fu coniata, peraltro, per descrivere la convivenza di elementi democratici e autoritari all’interno di un modello definibile come “democrazia ristretta”.In Italia è evidente, invece, che i partiti veicolano (ma non comandano ancora del tutto) la scelta degli elettori atteso che quest’ultimi non esprimono alcuna indicazione nominativa bensì solo di lista.Più che una democratura, dove vivrebbe una sorta di autoreferenzialità dei partiti, lo stato delle cose potrebbe essere su altro piano: una sorta di DemOligarchia.
Situazione politica, quest’ultima, nella quale l’autoconservazione dei partiti passa da due linee sottili: lo spoglio (nel vero senso della parola) dell’indicazione nominativo-decisionale dell’elettore per effetto dei listini bloccati; l’auto-demonizzazione della politica a 360 gradi a tal punto da insinuare nella mente dei cittadini la convinzione che meno parlamentari equivalga a meglio rendere salubre la democrazia medesima.
Sono due facce della stessa medaglia che portano inevitabilmente a considerare una cosa: la democrazia è come una molla elastica. Più la si tira dalle estremità più si assottiglia lo spazio interno. Meno la si tira, più c’è spazio per il rimescolamento della partecipazione dei cittadini.
Ecco, se la democrazia è come la molla suddetta, allora, le due estremità non sono altro che i listini bloccati da una parte e il taglio parlamentari dall’altro.
Metafora a parte, cosa c’entra questo passaggio con la questione posta dall’inizio di quest’analisi ovvero che “i governi non si fanno nel palazzo, ma si fanno nelle urne”, lo si spiega chiaramente.
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Abbiamo una Costituzione che vuole proporzionalità su scala nazionale per la Camera e su scala regionale per il Senato. Questo è vero. Ma se non si stimola la programmazione condivisa del Governo del Paese per aree valoriali omogenee (perché questa è la vera questione morale sul piano politico) si rischia una frammentazione tale per cui, a prescindere dai voti che un partito possa raccogliere durante le elezioni, nessuno concorrerà mai ad avere maggioranze rispettose delle indicazioni degli elettori con l’effetto che a Palazzo Chigi si giungerà in ragione di compromessi al ribasso tra forze politiche che nulla c’entrano le une con le altre.
Tutto ciò condito con l’ulteriore elemento dell’astensionismo che, paradossalmente, diventa il seme stesso della demonizzazione della democrazia, della autoreferenzialità mascherata dei partiti, della demolizione del principio di partecipazione voluto dai Padri e dalle Madri Costituenti.
Se non volete più eletti calati dall’alto, per quanto assurdo possa risultare per chi non si interessa della politica, andate a votare. Andate a votare! Pena il beccarsi ancora una volta l’ElettoCratura.
Vi immaginate un Paese in cui partecipano alle elezioni meno della metà degli aventi diritto?
La legittimazione della democrazia è nostra ed è una cosa seria. Ammesso che non siamo diventati un Paese a cui piace non esser più alcunché.
A chiunque dovesse chiedere il voto, quindi, si potrebbe chiedere un giuramento pubblico (sulla propria onorabilità): abrogazione dei listini bloccati con ripristino proporzionale dei parlamentari di prossimità.
Il taglio parlamentari, sotto quest’ultimo aspetto, ne combinerà delle belle per come partorito pieno di bolle (si consentirà la battuta).
Ricordate la patente a punti? Chissà se, prendendo spunto da questo strumento, si potrà ispirare una sorta di dimensione premiale del cittadino per tentare di far tornare di moda la partecipazione alla vita democratica del Paese.
Possiamo ancora evitare la DemOligarchisc del sistema.
Coraggio.