In una realtà mondiale segnata dall’annus horribilis della pandemia e l’uscita da un tunnel che, specie per l’Italia, pare ancora di là da venire, i due partiti perni del governo Draghi, Pd e M5S, restano impelagati nei loro assetti interni, cioè nelle beghe di potere. Chiamando le cose per nome, di guerre fra le solite bande trattasi, con ripercussioni sul nuovo governo. Dove, apparentemente, non c’è il casino di prima con Conte&C ma la sostanza è la stessa: la logica del doppio gioco (stare al governo e agire come se si fosse all’opposizione), ognuno va per conto suo, ognuno coltiva il proprio orticello con l’occhio ai sondaggi (si punta all’incasso nella spartizione del Recovery Plan) anche se all’esterno sta al gioco fingendo di seguire la musica del nuovo direttore d’orchestra Draghi: saggio cauto e parco e di alto lignaggio anche se dall’immagine un po’ ingessata e forse convinto troppo ottimisticamente che basti un suo sguardo severo per incutere soggezione nei sottoposti abituati ai maneggi nei meandri delle furerie. Il tono felpato, la sobrietà accomunata al tocco populista può coprire la mancata connessione del premier con il Paese reale. C’è chi al governo parla e agisce come fosse all’opposizione. Un già visto, insomma. E si sa com’è finita.
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