Politica
Francia, Macron verso il tramonto. Italia apripista anche per Parigi con la destra al potere
Caos politico in Francia, si avvicina il tramonto del macronismo e l'ascesa della nuova destra europea

Emmanuel Macron
La fine del macronismo è la fine della tecnocrazia e dei giochi di Palazzo? Analisi
In Francia sembra ormai essere ai titoli di coda la lunga esperienza del macronismo, che tante speranze aveva creato, in mezza Europa, da parte di chi continua a sostenere che il centro di gravità permanente della politica si trovi ancora ben piazzato al centro. La gravissima crisi politica di Parigi, su cui Emmanuel Macron ha enormi responsabilità, ripropone il tema se sia ancora valida la vecchia alternanza politica tra destra e sinistra, o se invece sia la parte moderata che faccia la differenza.
Se si ripercorre la parabola di Macron in Francia, si vede come lui sia salito all'Eliseo per una serie di componenti fortunate (prima tra tutte, quella di essere preceduto dal più scialbo presidente della Quinta Repubblica francese, che per questo non si ricandidò) o come quella di essersi trovato in mezzo ad un vero terremoto dei partiti tradizionali e potersi presentare nuovo e fuori da esso, quando in realtà così non era. Emmanuel Macron vinse il primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 2017 con il 23,86% dei consensi, sopravanzando di un milione di voti appena la leader di estrema destra Marine Le Pen, che sfiderà e batterà al ballottaggio grazie alla solita alleanza trasversale anti-destre. Un risultato raggiunto proponendosi soprattutto come candidato “nuovo” e “antisistema”: etichette che, grazie ad un’abile campagna mediatica, sono riuscite a “sfondare” nell’elettorato, nonostante la storia di Macron parli di un personaggio certamente ben integrato (e da tempo) nei centri di potere finanziari e politici della Francia (ha avuto un’esperienza alla corte dei Rothschild).
Quando poi sconfisse nettamente Marine Le Pen, qualcuno osò paragonare quel giovane nemmeno quarantenne ad un mostro sacro come Charles De Gaulle, criticato anch’esso per il suo modo di governare personalistico. Come lui fondò un nuovo partito, con lo stesso obiettivo di trasformare la politica. Cercò maldestramente di ripercorrere in politica estera i suoi fasti, ma con risultati assai modesti. Come lui nel 1968, ha provato ad indire nuove elezioni, ma con un ben differente esito (i gollisti stravinsero quelle elezioni). E al contrario di De Gaulle, che si dimise dopo il fallimento del referendum da lui promosso, continua ostinatamente a non considerare nemmeno l’idea di fare un passo indietro, che sarebbe forse l’unica cosa sensata che gli resterebbe da fare.
Ora della sua esperienza rimane un paese con alle spalle un debito monstre, appena declassato dall’agenzia di rating, un’economia asfittica, un paese in perenne conflitto e ingovernabile. In Italia, la sinistra moderata e il centro hanno guardato all’esperienza di Macron come a un modello da seguire, e fu proprio allora che nelle menti di Renzi e Calenda maturò forse l’idea di uscire dai partiti tradizionali, per formare nuove formazioni centriste che potessero essere una sorta di lunga emanazione del grande laboratorio macroniano in Francia.
Ora di quel laboratorio restano solo le macerie, e i riflessi non si sentiranno solo in Francia ma inevitabilmente anche in un’Europa, che proprio Macron ha contribuito a rendere sempre più divisa, cercando di rafforzare quell’asse con Berlino che da sempre domina l’unione. Finita la lunga era della Merkel, il presidente francese era convinto di poter risolvere gli scricchiolii in patria (basti pensare alle rivolte dei gilet jaune, nel 2019) con un nuovo autorevole ruolo in Europa. Ma non aveva fatto i conti con l’ascesa del nuovo astro della politica europea, quella Giorgia Meloni, che ha subito dimostrato di avere l'autorevolezza, il piglio e la determinazione della cancelliera tedesca.
Non è un caso se moltissimi giornali francesi a più riprese abbiano proprio contrapposto ai tanti errori di Macron, i successi in patria e in Europa della Meloni.
L’ascesa di una politica che rivendica di essere fieramente conservatrice di destra e la sua politica moderata ed autorevole, ben piantata nel solco atlantista ed europeista, ha contribuito evidentemente a sdoganare la destra al governo. E non è un caso che in mezza Europa, da due anni a questa parte, le destre siano in grande avanzata. In Francia Rn è il primo partito ormai, e molti osservatori, proprio sulla scorta di quello che sta facendo Meloni in Italia (e dei disastri che ha fatto il moderato Macron in patria), pensano che il paese sia pronto per una presidenza di Le Pen (o di Bardella, se verrà confermata l’interdizione per lei dai pubblici uffici).
Macron è stato forse l’incarnazione dell’uomo del sistema (un finanziere tecnocrate), che entra nella stanza dei bottoni, con il beneplacito dei cosiddetti poteri forti, e riesce ad evitare che alla presidenza possa andare la destra (nel 2017 i partiti francesi non erano riusciti a trovare un candidato che potesse contrastarla, da qui nacque anche la proposta Macron). È la stessa cosa che stanno cercando di fare le opposizioni contro la destra di governo, da due anni e mezzo a questa parte, ma con scarsissimi risultati, come si è visto nelle ultime elezioni e nei sondaggi.
La terza via di blairiana memoria, insomma, che già quando fu proposta dall’allora premier laburista inglese, che voleva superare le barriere ideologiche tra destra e sinistra, in realtà si è mostrata una pia illusione, incapace di dare risposte concrete ai cittadini.
La lunga esperienza di Tony Blair in Inghilterra (con la breve parentesi dello scialbo Gordon Brown) ebbe come naturale conseguenza di consegnare per quasi quindici anni il governo britannico ai conservatori. In Francia il macronismo potrebbe avere lo stesso identico risultato e consegnare per la prima volta la presidenza alla destra di Rn. E per una volta il nostro paese può vantare il merito di essere apripista e un modello politico da seguire.