Il pasticciaccio brutto di Bankitalia non ha un solo responsabile - Affaritaliani.it

Palazzi & potere

Il pasticciaccio brutto di Bankitalia non ha un solo responsabile

L'autonomo sottrarsi di Visco al nuovo mandato sarebbe a questo punto un gesto politico intelligente ed opportuno

Che la riconferma di Ignazio Visco al vertice della Banca d'Italia sia diventata un pasticciaccio lo dimostrano i fatti. Che sulla sua nomina avessero diritto di interloquire le forze politiche (specialmente quelle rappresentate in Parlamento) è altrettanto ovvio, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi. Che, allo stato attuale della legislazione, la decisione, oggi attribuita al presidente della Repubblica e al presidente del consiglio, di scegliere il Governatore della Banca d'Italia, abbia accresciuto il ruolo politico dell'atto, è evidente. Che, se non ci fosse stata la mozione del Pd, che è l'atto politico della maggioranza del Parlamento che legittimamente chiede, in zona Cesarini, di essere informata e coinvolta in questa delicata e complessa vicenda, la nomina di Visco sarebbe stata automatica e sarebbe passata, come si dice, liscia come l'olio, è altrettanto evidente. Che da questo groviglio di valutazioni e di interessi (anche castali) mal programmati (perché, come vedremo, le responsabilità vengono da lontano) sia nato uno scontro non facilmente componibile, è altrettanto chiaro.

Prima di analizzare questo groviglio è opportuno sottolineare che non si mette in discussione l'onestà, la competenza e la preparazione dell'attuale governatore della Banca d'Italia, Visco, ma si vuole solo riconoscere il diritto, da parte del Parlamento (che è l'espressione più genuina della sovranità popolare) di non essere tagliato fuori da decisioni così importanti, in settori diventati così palesemente vicine agli interessi della gente.

Se questo diritto non è riconosciuto, allora poi saltano fuori non solo le mozioni di sfiducia, ma anche la disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. Disaffezione che nasce, in gran parte, dal convincimento che sulle cose che contano non solo i cittadini non possono mettere becco (com'è, del resto, inevitabile oltre che ovvio) ma non possono intervenire nemmeno attraverso i loro rappresentanti in parlamento (il che è francamente inammissibile anche se ci sono delle procedure che rendono possibile questa mutilazione dell'azione del Parlamento).

Una precedente e doverosa riforma della Banca d'Italia, continua Magnaschi, aveva trasformato la nomina a vita del Governatore (che costituiva un vero e proprio mandarinato) in una nomina a mandato limitato a sei anni, che avrebbe potuto essere replicata al massimo un'altra volta. Una successiva riforma, peggiorativa di quest'ultima, riguardava invece la procedura di individuazione e nomina del Governatore. In precedenza, il Consiglio superiore della Banca d'Italia, proponeva al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio una terna di nomi. Fra questi, le due autorità poc'anzi menzionate sceglievano il nome del futuro Governatore.

Questa procedura era lodevole perché proponeva la scelta della terna dei candidati a un organo tecnico (il Consiglio superiore della Banca d'Italia, inevitabilmente composto da gente che conosceva i problemi dell'allora istituto di emissione e il valore degli uomini che in esso avevano espresso la loro professionalità; senza peraltro escludere risorse professionali esterne). Il passaggio successivo invece avveniva a livello di presidente della Repubblica e di premier che rappresentano, sia pure attraverso le loro altissime funzioni istituzionali, anche il potere politico-parlamentare. In tal modo, la nomina del nuovo governatore nasceva da una prima valutazione tecnica (la terna) e da una successiva valutazione politica (la scelta di chi avrebbe prevalso fra i tre).

Successivamente, questa procedura è stata modificata (ed è quella attualmente in vigore) perché il Consiglio superiore della Banca d'Italia è stato declassato a ruolo di successivo e automatico ratificatore della scelta liberamente fatta da presidente della Repubblica e dal premier ai quali pertanto spetta il diritto, inevitabilmente politico, di iniziativa e di scelta del Governatore. Esercitare questa delicatissima scelta, nel chiuso delle loro stanze, a soli cinque mesi dalla fine della legislatura, pur essendo questa un'operazione legittima, fa sì che essa venga anche percepita, dal mondo politico-parlamentare, oltre che dall'opinione pubblica (ma non dall'opinione pubblicata, come si può toccare con mano in questi giorni) come una forzatura.

Un altro elemento da tenere presente è la durata effettiva del mandato sinora esercitato da Visco al vertice della Banca d'Italia, un mandato molto impegnativo e inevitabilmente logorante, visto che è coinciso con (uso le parole di un rapporto ufficiale della stessa Banca di via XX Settembre) «la più severa crisi finanziaria in tempo di pace dall'Unità d'Italia del 1861 ad oggi». Ora, è vero che Visco ha fatto un solo mandato di sei anni che è ora in scadenza. Ed è anche vero che Visco ha adesso il diritto, se se ne riscontrerà l'opportunità, di essere nominato per altri sei anni. Ma se si tiene presente che, prima di diventare governatore, Visco era già stato direttore generale della Banca d'Italia per quattro anni, il suo mandato di fatto, al vertice della Banca d'Italia, durerebbe 16 anni (quattro più sei e più sei) e coinciderebbe, quindi, per durata, con quello di un'intera generazione. Una durata chiaramente incompatibile con la rapidità delle mutazioni tecnologiche, normative e organizzative attualmente in atto nel mondo finanziario nella stagione della globalizzazione.

A questo punto, continua ancora Pierluigi Magnaschi, la posizione di Visco e di coloro che vorrebbero reintronizzarlo al vertice della Banca d'Italia è diventata oggettivamente difficile. Pertanto non è il caso, arrivati a questo punto, di invocare procedure, leggi, precedenti, consuetudini, relazioni ma solo di tener presente che un valente grand commis d'état come Visco ha già dato tutto quel che poteva dare e che, per circostanze oggettive anche se a lui esterne (anche in termini di inevitabile logoramento professionale, essendo lui stato costantemente in prima linea in questa crisi epocale e indecifrabile che sembra non voler mai finire) dovrebbe sottrarsi dal nuovo incarico, nella convinzione che, a 68 anni, partirebbe handicappato nell'espletamento del suo nuovo mandato di sei anni che esige invece un uomo nel pieno delle forze.

L'autonomo sottrarsi di Visco al nuovo mandato sarebbe un gesto politico intelligente ed opportuno perché significherebbe che il Governatore tiene conto non solo delle sue legittime aspirazioni, ma anche della possibilità di poter ancora assolvere con pienezza, dignità ed efficacia, come è successo nel passato, il suo ruolo in un contesto politico e operativo che (per colpa di tutti e di nessuno) è diventato problematico e in ogni caso molto più difficile che in passato.