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Politica
Pd: “La crisi? Una sciagura. Cambio di passo sì, ma basta ultimatum”

Dopo l’incontro con la delegazione di Italia viva a Palazzo Chigi, c’è solo una certezza e cioè che l’eventuale crisi sia rinviata. Il partito di Matteo Renzi si è preso qualche giorno di tempo per esaminare la documentazione illustrata nel corso dell’appuntamento con il presidente del Consiglio. Che sia un modo da parte di Iv per guadagnare tempo?

Affaritaliani.it lo ha chiesto al deputato Walter Verini, tesoriere nazionale del Partito democratico, che in maniera tranchant ha avvertito: “Non è il momento per nessuno di perdere del tempo. E’ positivo - ha aggiunto - che da diverse ore non si sentano più in giro ultimatum o ‘penultimatum’, ma adesso è giunta l’ora di confrontarsi sulle cose da fare. Che, poi, è quello che il Pd aveva chiesto sin dal vertice di maggioranza del 5 novembre scorso”.

Verini, eppure questa verifica è tutt’altro che lampo. E il Recovery non aspetta…
Si sarebbe dovuto utilizzare al meglio questo tempo. Ribadisco: adesso non ce n'è più da perdere, adesso bisogna approvare in Consiglio dei ministri la bozza del Recovery, coinvolgere il Parlamento e l’intero sistema Italia - Regioni, Comuni e parti sociali -, e quindi cominciare a lavorare su quella che è la base del futuro del nostro Paese. Ma occorre contemporaneamente portare avanti pure l’accordo di fine legislatura, su temi e riforme da affrontare.

Nelle ultime ore la linea di Italia viva si è un po’ ammorbidita. Quanto hanno influito le parole con cui ieri il ministro Dario Franceschini ha tracciato la road map del voto in caso di crisi, concetto oggi ribadito anche da altri big del suo partito come Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini e Andrea Orlando?
Io credo che a influire contro ultimatum e perdite di tempo siano le risposte che attende l’Italia, un Paese nel pieno di una pandemia, che sta rivelando i suoi effetti drammatici in tutta Europa. Un Paese alla vigilia di una campagna vaccinale che non può fallire. Un Paese smarrito da una grave situazione economica e sociale.

Nessun merito al Pd, dunque?
Il Pd ha interpretato questo stato d’animo collettivo dell’Italia, di famiglie, imprese e giovani che reclamano lo spirito di una comunità nazionale, una forza e compattezza della classe dirigente. Quando il Pd afferma che, nell’ipotesi sciagurata di una crisi, c’è solo il voto, vuole dire una cosa semplice: nel pieno rispetto delle prerogative e della saggezza del Capo dello Stato, non possono esistere governicchi raffazzonati, non ci sono prospettive di esecutivi tecnici. Se cade il governo, è il messaggio che ha voluto mandare il Partito democratico, ci va di mezzo il Paese. Ecco perché il mio partito è stato quello che, di fronte alla crisi interna del M5s e all’atteggiamento di Italia viva, ha cercato sin dall’inizio di ricondurre il confronto sui temi. Con l’obiettivo di rafforzare, e non di indebolire o affossare, l'esecutivo.

Quindi, nessuna tattica da parte del Partito democratico. Ma siete sicuri che altri governi in corsa non siano possibili?
Con tutte le sfide che abbiamo davanti, ma anche a fronte dei risultati raggiunti dall’attuale governo, a cominciare dall’aver ricollocato l’Italia in un solco europeista, ciò che occorre, questo sì, è un cambio di passo. Pe fronteggiare il rischio di una terza ondata e per cogliere al meglio l’opportunità dei fondi del Recovery per ridisegnare l’Italia. Una crisi, insomma, sarebbe solo una sciagura. Un governo c’è, abbiamo solo bisogno che si rafforzi.

Il Movimento cinque stelle non si è pronunciato con la vostra stessa nettezza rispetto alle elezioni quale unica alternativa a una crisi di governo. Come mai?
Ho molto rispetto dei travagli interni del Movimento. Tuttavia, al netto di evidenti fibrillazioni, che pure hanno pesato sulla maggioranza, il gruppo dirigente del M5s in questa fase non mi pare che abbia lavorato contro il governo. Adesso, però, io auspicherei due cose.

Quali?
In generale dico: guai se le esigenze interne di un partito avessero conseguenze negative sul governo e sulle istituzioni, sarebbe un delitto politico.

Il secondo auspicio?
Mi auguro che il Movimento cinque stelle risolva le sue contraddizioni e contribuisca pienamente da forza di governo a questa nuova fase che va urgentemente attuata.

Comunque, tornando a Italia viva. Ciò che contestate a Renzi non sono i contenuti, ma solo il metodo. Anche il Pd sulla cabina di regia del Recovery e sulla questione della delega ai Servizi non condivide l’impostazione del premier. E’ così?
Su alcune questioni, a cominciare dalla legge elettorale e dalle riforme costituzionali, noi abbiamo rilevato ritardi e auspicato che il presidente del Consiglio esercitasse una sintesi. Così come è vero che il Pd ha chiesto a gran voce di aggiornare la piattaforma di governo fino al 2023, a dimostrazione del fatto che sul tavolo non c’è solo il Recovery. Proprio perché in maggioranza, come è naturale, ci sono posizioni differenti, è necessario che il premier alla fine tiri le fila. Più i problemi vengono squadernati e sintetizzati e più una maggioranza si rafforza. E più si rafforza meno paura ha di confrontarsi con le opposizioni, sempre nella distinzione dei ruoli. Noi abbiamo lavorato per rendere più forte il governo. In certi momenti, al contrario, Italia Viva è sembrata avere obiettivi diversi.

Inutile girarci intorno: serve comunque un rimpasto per una ripartenza?
La sola parola mi fa venire l’orticaria perché ricorda riti da prima Repubblica. Il Pd, è bene essere chiari, non ha posto il problema in questi termini.  

Beh, Orlando e Bettini hanno sottolineato la necessità di un tagliando…
Alla fine del percorso sui contenuti e sul programma, iniziato il 5 novembre scorso, toccherà al presidente del Consiglio tirare le somme e valutare se un rimpasto può essere funzionale a un rafforzamento politico. Non si può escludere, ma non si può neppure partire da qui. Quando è nato questo governo - in breve tempo - l'accordo prevedeva 29 punti programmatici. Ora c’è bisogno di irrobustire la maggioranza, fissando priorità e obiettivi. Tutto qua. Senza, però, negare i risultati che ci sono stati fino a ora, a cominciare da un rinnovato rapporto con l’Europa e fino al nuovo decreto Sicurezza. Tra l'altro, qualsiasi maggioranza, quando è coesa, può e deve dialogare con più apertura con le opposizioni.

Il Pd è alle prese con un altro nodo da sciogliere: la candidatura a sindaco di Roma. Dopo l’assoluzione di Virginia Raggi, già in corsa per una riconferma, cosa farete? Sosterrete Carlo Calenda o farete le primarie?
A decidere sarà il Pd romano, confrontandosi con il Pd nazionale. Non ho titoli per rispondere. Posso solo esprimere il mio parere.

E qual è?
Io credo che il Pd debba definire un progetto assieme a un campo progressista, ma molto civico. Roma è una città che da più di dieci anni necessita di una guida, di una leadership che tenga insieme visione del futuro e quotidianità. La Roma della cultura, del volontariato, delle associazioni, delle imprese, della ricerca, delle periferie, dell'innovazione, compie esperienze e pone domande. E la politica deve raccoglierle e dare risposte. Alla Capitale serve una squadra e non un uomo solo. Non si può partire dai nomi, bensì da progetti che tengano insieme tutte le straordinarie energie presenti in questa città.

E con Calenda come la mettiamo?
Non mi sento di escludere nessuno. Al tempo stesso, però, ritengo non sia possibile candidarsi in solitaria e poi chiedere l’appoggio di tutti. Le candidature vanno costruite attraverso la condivisione e non le autocandidature. Ci vuole generosità politica, anteponendo il futuro della Capitale ai destini personali. Calenda può e deve dare mano, ma non può dire: ‘ io sono candidato, appoggiatemi’. Una casa la si costruisce dalle fondamenta e non dal tetto. Costruita una idea per il futuro di Roma, coloro che stringeranno il patto per renderla realtà decideranno la leadership più adatta e competitiva.  

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