Politica
Referendum sulla giustizia, Italia spaccata. Ma la vittoria del SI' alla riforma è più probabile. L'analisi e i numeri
Il fronte delle opposizioni al Cdx e del NO non è compatto

Il 90% degli elettori di Centrodestra sostiene la riforma, mentre il 61% di quelli di Centrosinistra è contrario
La riforma della giustizia, con la sua proposta di separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, si avvicina al suo momento decisivo: il referendum costituzionale confermativo, previsto per la primavera del 2026. E mentre il Parlamento si avvia verso l’approvazione definitiva, l’opinione pubblica italiana si mostra profondamente divisa.
Più in dettaglio, secondo un sondaggio YouTrend per Sky TG24, tra gli italiani che esprimono un’intenzione di voto, il 51% voterebbe “Sì” per confermare la riforma, mentre il 49% sceglierebbe il “No”. Un equilibrio precario, che potrebbe facilmente ribaltarsi in campagna elettorale. L’affluenza stimata è del 55%, sufficiente per rendere più che valido il voto, dato che per i referendum costituzionali non è previsto il quorum.
Un altro sondaggio, condotto da SWG per La7, mostra un quadro leggermente diverso: il 44% voterebbe “Sì”, il 21% “No”, ma ben il 35% si dichiara indeciso. Questo dato evidenzia quanto il tema sia tecnico e poco “digerito” dal grande pubblico, ma anche quanto sia aperta la partita.
La faglia politica è netta: il 90% degli elettori di Centrodestra sostiene la riforma, mentre il 61% di quelli di Centrosinistra è contrario. Tuttavia, anche all’interno delle opposizioni si registrano posizioni sfumate: Azione ha votato a favore in Parlamento, mentre Italia Viva ha criticato il metodo ma non il merito della riforma.
I sostenitori della riforma puntano su una maggiore imparzialità del sistema giudiziario. Separare le carriere, sostengono, significa evitare che un magistrato possa passare da ruolo accusatorio a ruolo giudicante, compromettendo la neutralità del processo. Inoltre, la creazione di due Consigli Superiori della Magistratura e di un’Alta Corte disciplinare dovrebbe rafforzare la trasparenza e ridurre il rischio di corporativismo.
Dal canto loro, i contrari temono che la riforma possa indebolire l’autonomia della magistratura e aprire la porta a un controllo politico più diretto sulle procure. Alcuni giuristi e magistrati, come ad esempio Nicola Gratteri, hanno espresso dubbi sulla separazione, pur sostenendo altri aspetti della riforma come il sorteggio dei membri del CSM. Inoltre, il caso Almasri ha sollevato polemiche sulla politicizzazione della giustizia, alimentando la diffidenza verso l’intervento governativo.
In conclusione, il referendum sulla giustizia si profila come uno spartiacque non solo istituzionale, ma anche politico. Per Giorgia Meloni e il suo governo, rappresenta l’occasione di consolidare il consenso su una riforma simbolo della “rivoluzione istituzionale” promessa in campagna elettorale. Per le opposizioni, invece, è il terreno su cui misurare la propria capacità di mobilitare l’elettorato su un tema complesso ma cruciale per la democrazia.
In gioco non c’è solo la struttura della magistratura, ma anche il rapporto tra poteri dello Stato, la fiducia dei cittadini nella giustizia e, in ultima analisi, l’equilibrio tra garanzie e governabilità. Il voto referendario sarà dunque anche un vero e proprio termometro politico: misurerà sia il gradimento della riforma sia, almeno in parte, la maturità del sistema democratico italiano di fronte a una delle sue sfide più delicate.
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