Politica
Stato-mafia e il partito dei giudici
Di Pietro Mancini
Dopo una comparsata in Guatemala, di cui si ricordano solo le interviste sotto le palme, il "flop" elettorale del suo movimento, "Rivoluzione civile", e il "niet" all'incarico, assegnatogli dal CSM, di giudice ad Aosta, Ingroia ricevette dal governatore della Sicilia, Crocetta, la direzione di Equitalia dell'Isola. E, infine, è tornato a indossare la toga, stavolta da avvocato.
Un acuto giornalista e scrittore di Catania, Francesco Merlo, è stato molto severo su quello che è stato un amico, oltre che la toga preferita da Travaglio e Caselli :"Il protagonismo e la vanità di Ingroia sono le punta estreme di una grande confusione di ruoli con il giudice che diventa, nel bene e nel male, il politico, lo storiografo, il sociologo, il criminologo, l'avvocato e persino l'esattore. Anche come perdente, Ingroia sembra uscito dalla penna di Sallusti, che sberleffa in lui l'intera magistratura...".
Il corsivo di Merlo è stato stampato prima dello "sgub" di "Libero" con l'annuncio della prossima diffusione delle conversazioni dell'ex Capo dello Stato. E questa bombetta è esplosa -un caso ?-solo una settimana dopo l'assoluzione di don Calogero Mannino che, secondo Ingroia e i suoi ex colleghi, era un infame politico, colluso con le cosche, e rivestiva un ruolo essenziale nella trattativa Stato-mafia. E, ovviamente, il verdetto, favorevole all'ex ministro dc, non è stato affatto gradito dai registi dell'operazione politico-mediatica-giudiziaria che, con la gestione delle intercettazioni da parte della Procura di Palermo, era arrivata a lambire il Quirinale. Il cui inquilino, appunto Napolitano, si era rivolto alla Consulta, che ordinò di distruggere le intercettazioni, ininfluenti, usate per alimentare il polverone.
Adesso quelle telefonate rispuntano. E, tramite lo scrittore Ingroia, riemergono gli "ultras" della magistratura, ancora non soddisfatti di aver disseminato discredito, senza ragione, su chi, come nonno Giorgio Napolitano, ha guidato il Paese, con autorevolezza, in una fase drammatica. E che è ancora considerato, evidentemente, un argine a quei settori della politica e della magistratura, contrari alle riforme e favorevoli a perpetuare la politicizzazione delle funzioni giudiziarie. Con larga diffusione delle conversazioni intercettate al fine di costruire, attorno a un processo, una agitazione permanente, nel circuito mediatico, a sostegno delle accuse più gravi che, alcuni lustri dopo, spesso crollano, come castelli di sabbia, tanto imponenti quanto fragili nelle fondamenta.