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Giornata mondiale della disabilità, Cassioli: "Costruire l'inclusione"

Cassioli: "Ecco come costruire l'inclusione"

Senza dubbio e senza dibattito è il più grande sciatore nautico paralimpico di tutti i tempi. Ha conquistato 28 titoli mondiali, 27 titoli europei e 45 titoli italiani. In occasione della giornata mondiale della disabilità Daniele Cassioli racconta ad Affaritaliani.it quale sia lo stato dell'arte e quali le migliorie che possono essere applicate. L'atleta, che è anche dirigente sportivo, detiene il record del mondo nella specialità del salto (21,10 metri), nelle figure (2.240 punti) e nello slalom (1 boa con corda a 11.25 metri, a 58 km/h). Per tre volte è stato eletto atleta mondiale dell'anno dall'International Waterski & Wakeboard Federation, categoria paralimpici: 2008, 2010, 2014. Nel 2021 viene nominato atleta della decade e del quarto di secolo dall'International Waterski & Wakeboard Federation.

Cassioli, ritiene che il 3 dicembre, giorno mondiale della disabilità, sia una data importante e perché?
È una data importantissima ma ancora più rilevante è l’attenzione che si ha oggi verso questo tema. Il 3 dicembre è un’occasione per accendere la luce sui diritti delle persone con disabilità che, se pur crescenti nel corso degli anni, sono ancora in parte poco garantiti. Segnalo per esempio che il 90% almeno dei siti internet delle PA non sono accessibili. Pertanto questi diritti dovrebbero essere tutelati dalle istituzioni e, più in generale, dal comportamento e dalla sensibilità di ogni singolo cittadino.

Ci sono stati dei cambiamenti dall'inizio di questa ricorrenza, che risale al 1981, e se sì in meglio o in peggio?
È innegabile che stiano cambiando molte cose, quanto meno se ne parla ed è normale vedere sui social, in tv o nei giornali, una persona con disabilità. Non sono lontani i tempi negli anni 80 e 90 in cui si provava imbarazzo nel riprendere o nel vedere una persona senza una gamba.
Anche a livello lavorativo qualcosa sta cambiando, infatti le aziende stanno rinforzando la cultura dell’inclusione al proprio interno, tema che riguarda qualsiasi diversità, non esclusivamente la disabilità. Di contro ci sono ancora tantissime cose da fare, basti pensare che molte persone con disabilità non lavorano, non si laureano e restano spesso dipendenti dai propri genitori. A tal proposito c’è un altro tema che questa giornata può aiutarci a mettere a fuoco: quello dei care giver, quella schiera di persone che si ritrovano soli o poco accompagnati con un figlio, un partner o un genitore gravemente disabile. Sono queste persone che spesso rinunciano alla carriera e a un inserimento sociale per dedicarsi al proprio caro, spesso per compensare ciò che il sistema non è in grado di garantire.

Cosa si potrebbe fare di più e di meglio per lo sviluppo dell'inclusione? Ci può portare degli esempi significativi di mancata inclusione? E di inclusione realizzata invece?
Sicuramente è urgente continuare a costruire una cultura sana dell’inclusione che non significa che tutti devono fare le stesse cose, al contrario tutti devono avere la possibilità di esprimersi anche grazie all’ambiente in cui vivono. Ci sono ancora troppi ascensori guasti che restano inutilizzabili per mesi e questo per chi non cammina è discriminante. Come accennavo prima una marea di siti internet non è accessibile e tantissimi dei mezzi pubblici nel nostro paese non annunciano le fermate. Se ci fosse più cultura si arriverebbe a uno standard sotto al quale è inaccettabile rimanere. Allo stesso tempo le cose belle ci sono eccome: penso alla sensibilità di molte scuole e di tanti comuni sul tema. Per quanto mi riguarda ad esempio vengo spesso invitato da insegnanti o amministratori locali per condividere la mia esperienza e ragionare insieme sull’inclusione. Anche tante organizzazioni stanno iniziando a mettere in atto politiche trasversali sull’inclusione per favorire una migliore qualità di vita delle persone anche grazie al luogo di lavoro e alla cultura aziendale. Lavoro spesso come consulente sulla D&I e trovo sempre più realtà davvero illuminate e ingaggiate su questo argomento.

Nota nei cosiddetti normo dotati delle differenze rispetto a questo tema? E se sì, secondo lei a che cosa sono dovute?
Grazie a Dio siamo tutti differenti. Nel caso specifico ci sono persone indifferenti, altre super coinvolte e altre ancora totalmente insensibili e scarsamente proattive. L’inclusione è un obiettivo comune guidato da una responsabilità individuale, intendo dire che tutti dovremmo tendere alla costruzione di ambienti inclusivi, non tutti siamo consapevoli che perché ciò accada, al di là delle barriere architettoniche, occorre che ognuno faccia la sua parte. Spesso la gente non è ancora consapevole del fatto che alcuni nostri comportamenti hanno una ricaduta su tutto un sistema e si diventa nemici dell’inclusione senza nemmeno rendersene conto. Come dicevamo prima è una questione di cultura e sensibilità.

Quali sono i suoi prossimi progetti?
Io ho il piacere di collaborare con diverse organizzazioni per portare la mia storia e ragionare insieme agli HR su come costruire ambienti di lavoro inclusivi. Per il futuro spero di continuare su questa strada che mi gratifica molto e sicuramente sono chiamato a studiare parecchio per essere all’altezza. Parallelamente, insieme a Piramis Onlus di cui sono presidente onorario, porto avanti i progetti di Real Eyes Sport, l’associazione che ho fondato qualche anno fa e che ha l’ambizione di portare i giovani con disabilità a fare sport. Attualmente siamo a 300 bambini non vedenti in tutta Italia e stiamo lavorando su progetti davvero entusiasmanti per fare in modo che lo sport entri negli ospedali e che dagli ospedali i bambini escano con l’indicazione di fare attività ludico-sportiva. Anche questo rappresenta un grosso segnale d’inclusione e, mi viene da dire, di civiltà.
 

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