Wimbledon, l'incredibile resa dell'uomo di fronte alla macchina e alla tecnologia dell'Intelligenza Artificiale - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 07:56

Wimbledon, l'incredibile resa dell'uomo di fronte alla macchina e alla tecnologia dell'Intelligenza Artificiale

Era proprio necessario preferire l’Intelligenza artificiale agli umani giudici di linea (magari coadiuvati da quella sorta di Var che abbiamo visto a Parigi o a Roma)?

di Antonio Mastrapasqua

Wimbledon, l'incredibile resa dell'uomo di fronte alla macchina e alla tecnologia dell'Intelligenza Artificiale

Ho avuto la fortuna di andare a vedere un turno del torneo di tennis di Wimbledon. Appena seduto sugli spalti, prima che iniziasse la partita, ho notato una differenza con gli altri anni: non c’era nemmeno un giudice di linea. Quando cambia qualcosa in Gran Bretagna è uno strappo a una liturgia consolidata, una discontinuità che destabilizza.  A torto o a ragione, pur nell’assoluta e continua ricerca di contemporaneità economica e sociale, il mondo britannico conserva tradizioni e riti come nessun altro Paese al mondo.

O così almeno mi pare. Non è una questione politica tra Labour e Tory, a prescindere dal nome dei partiti la Gran Bretagna è un Paese conservatore. O se preferite tradizionalista. Molto tradizionalista. Notare sui campi d’erba di Wimbledon l’assenza dei giudici di linea è stato un piccolo shock.

Niente paura, tutto regolare nella dinamica dell’incontro. Ci ha pensato l’intelligenza artificiale. Un complesso sistema di telecamere, di video di controllo, e di regole immagazzinate da un super-computer ha consentito di procedere nella partita, persino con l’accompagnamento vocale – anche in questo caso la voce era sintetica, computerizzata – simulato persino in una armoniosa (e politicamente correttissima) alternanza di voce femminile e voce maschile.

L’unica presenza umana rimasta in campo, oltre ai giocatori, era il giudice sul trespolo. Per quasi tutto l’incontro il suo ruolo è stato evidentemente inutile. Un notaio esautorato di ogni competenza, attento all’incontro più o meno come gli altri mille spettatori. Poi d’un tratto l’imprevisto. Un colpo esce chiaramente dal campo, oltre la linea di fondo; nulla che possa creare un dubbio, la riga è rimasta lontana di almeno una spanna, rispetto al punto di contatto tra la pallina e il terreno erboso. Eppure, non si sente la solita voce sintetica – avrebbe dovuto essere maschile, per rispettare l’alternanza – stigmatizzare con precisione “artificiale” quell’”out” che tutti si aspettavano.

Anche i giocatori in campo se lo aspettavano. Anche il giudice sul trespolo se lo aspettava. Invece, silenzio. Prima il silenzio del mancato “out”. Poi dopo l’aggiornamento del punteggio – sempre declinato dall’Intelligenza Artificiale in persona – che aveva contabilizzato l’errore come se non ci fosse stato, il silenzio del pubblico è diventato brusio.

Il giocatore vittima della svista “artificiale” avrebbe dovuto andare alla battuta, ma è incerto. Guarda il pubblico, poi si rivolge all’arbitro, che sembra intento ad ascoltare qualcosa in cuffia. Alza un braccio, e urla: “Stop”. E’ ufficiale: Wimbledon, c’è un problema. Mentre tutto si ferma, l’arbitro umano sul trespolo inizia un conciliabolo: non si limita ad ascoltare quello che gli dicono in cuffia, ma risponde qualcosa nel suo microfono, che però è stato escluso dall’ascolto di tutti.

Passano un paio di minuti. L’arbitro dal trespolo riaccende il microfono, annuncia quello che era ormai sotto gli occhi di tutti: “Il sistema dell’Intelligenza artificiale è andato momentaneamente in tilt. Tra poco sarà ripristinato e potremo riprendere l’incontro”. Sollievo generale, brusio di commenti prevedibili, che in Italia avrebbero avuto il tono più greve: “Sarà artificiale, ma alla faccia dell’intelligenza!”.

Ritorna la voce sintetica, questa volta è femminile e riassume il punteggio, come se la palla fuori non fosse mai stata giocata. L’arbitro dal trespolo aggiunge la sua voce, per chiarire: “Si riprende da prima del tilt. Si rigioca la palla”. Ma come? Lo sguardo e l’intelligenza umana si arrendono di fronte all’errore di quella artificiale? Tutti avevano visto la palla fuori. Era un “15” contro chi aveva sbagliato. Era ovvio, lapalissiano.

Invece no. Se la macchina sbaglia occorre rifare tutto. Non basta l’occhio umano che ha visto l’errore del giocatore e dell’Intelligenza artificiale. No, l’uomo è stato definitivamente esautorato, escluso. Non può più metterci becco. Si riparte laddove la macchina aveva smesso di funzionare. Il suo errore non conta, si cancella la realtà privata del suo controllo, come se non fosse accaduto nulla. Come vogliamo dirlo? E’ una incredibile resa dell’uomo di fronte alla macchina e alla tecnologia.

Se volessimo evocare uno spiffero veltroniano – quando si scatenò la polemica per i film in tv interrotti dagli spot pubblicitari – potremmo dire che “non si può interrompere un’emozione”.

Ma c’è di più: ce n’era bisogno? Era proprio necessario preferire l’Intelligenza artificiale agli umani giudici di linea (magari coadiuvati da quella sorta di Var che abbiamo visto a Parigi o a Roma)? E ancora: perché di fronte a un marchiano errore della macchina dobbiamo arrenderci come una specie inferiore, che non osa contraddire il frutto della sua (presunta) evoluzione?