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Tassi d’interesse negativi
Cerchiamo di chiarire anzitutto se, sulla base dei fondamentali, sia possibile che i tassi d’interesse siano negativi. La risposta è sì, ma con una considerazione che vedremo subito dopo. Se in un Paese la propensione al consumo diventa negativa o si avvicina allo zero, ci si aspetta logicamente che abbia inizio un periodo di deflazione per la valuta di quel Paese, quindi ci si potrebbero attendere anche tassi di interesse negativi. In realtà è proprio questo il filo conduttore che attraversa oggi le economie (area euro, Giappone, Svizzera) dove i tassi sono diventati negativi.
Ora vediamo la considerazione cui abbiamo accennato prima. Se il mercato offre tassi d’interesse negativi, perché mai un privato dovrebbe prestare il proprio denaro, dal momento che ha la possibilità di guadagnare di più semplicemente tenendo con sé i propri risparmi? Storicamente, le opinioni degli economisti nei secoli hanno oscillato fra un rigetto del reddito da capitale, per cui un prestito avrebbe dovuto essere restituito senza interessi, a tasso zero, e una giusta remunerazione del capitale che già nel ‘700 veniva indicata intorno al 4% annuo. Negli ultimi anni del ‘900 addirittura non bastava il 20% annuo per ritenere adeguata la remunerazione: ma si parlava di un’inflazione galoppante e dell’indiscusso diritto a mantenere il potere d’acquisto del proprio capitale nel tempo.
Poiché i tassi invece oggi sono scivolati sotto lo zero, è il momento di riesaminare queste convinzioni. Un modo per conciliare l’accettazione di tassi di interesse negativi con un comportamento razionale è quello di introdurre il concetto dei “costi di detenzione del contante”, in effetti sempre esistiti, ma ancor più riscontrabili nelle economie di oggi. I capitali detenuti “sotto il materasso” non sono certamente sicuri, quindi accettare di sottoscrivere un tasso negativo, purché minimo, dagli intermediari finanziari, non costituisce altro che un costo di “assicurazione” sulla restituzione del capitale a scadenza. Però va scelta una controparte solida, che non fallisca prima di restituire quanto affidatole.
Ma c’è un’altra considerazione, in campo macroeconomico. Quando le banche centrali segnalano con forza la loro intenzione di portare i tassi d’interesse a zero (e al di sotto) quale potrebbe essere la motivazione? La risposta, in parole povere, è che la convinzione che i tassi d’interesse più bassi portano a un aumento dei prezzi delle attività finanziarie e conseguentemente a maggiori investimenti reali per l'economia, sia attraverso il meccanismo di una maggior disponibilità a finanziare le imprese, sia a quello di una valuta più debole che le possa rendere più competitive a livello globale.
Allora, perché finora non ha funzionato? Sebbene i tassi d’interesse negli Stati Uniti, Europa e Giappone abbiano toccato nuovi minimi, non abbiamo visto un'esplosione in investimenti reali in questi Paesi, e il fatto che in molti casi il valore delle azioni sia aumentato ha avuto molto più a che fare con i fatturati che con i tassi d’interesse più bassi.
Anzi, la riduzione dei tassi da parte delle banche centrali fino allo zero può avere conseguenze imprevedibili e spesso perverse, abbassando i prezzi delle attività finanziarie, riducendo gli investimenti reali e rendendo la moneta più forte, invece del contrario.
La realtà è che i mercati sono diventati molto meno fiduciosi sugli interventi delle banche centrali e più propensi a fare le proprie valutazioni in modo indipendente. Per esempio, negli USA il rendimento atteso per le scorte è rimasto a circa l'8%, il che porta a premi per il rischio sempre più elevati.
Che cosa possiamo concludere? Per coloro ai quali sta a cuore la crescita economica reale e il benessere, i tassi di interesse negativi sono una cattiva notizia, dal momento che sono incompatibili con una sana economia in crescita.
Dopo sei anni di continuo impegno ad abbassare i tassi, è il momento per le banche centrali di riconoscere che forse questa leva non funziona, anzi il fatto che le banche centrali ritornino alla leva dei tassi d’interesse, quando l'evidenza suggerisce che non ha funzionato, è un segno di disperazione, un'ammissione da parte delle banche centrali di essere a corto di idee. Questo forse spiega l'aumento dei premi per il rischio sui mercati finanziari e la riluttanza delle imprese a fare investimenti reali.
Anche per i privati e per i piccoli risparmiatori lo scenario si fa sempre più pericoloso. Se il capitale privato viene remunerato a zero o addirittura sotto zero, ci saranno alcuni investitori, che hanno sempre contato sul reddito fisso per vivere, che cercheranno remunerazioni maggiori a qualsiasi costo, cascando facilmente nelle trappole degli imbonitori o negli investimenti ad alto rischio che non possono permettersi.
Paolo Brambilla