Fondatore e direttore
Angelo Maria Perrino

Apple, 10 anni di iPhone. Coltan, brevetti, fisco: i lati oscuri della Mela

Tasse pagate nei paradisi fiscali, componenti costruiti in fabbriche cinesi. L'iPhone fa 10 anni ma Apple ha tanti lati oscuri

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10 ANNI DI IPHONE. MA APPLE HA ANCHE LATI OSCURI

Tasse dichiarate nei paradisi fiscali, componenti costruiti in fabbriche cinesi con operai soggetti a turni massacranti, materie prime estratte in Africa da bambini che lavorano in condizioni disumane. Va detto che Apple e' solo uno dei tanti colossi della tecnologia la cui catena produttiva nasconde lati oscuri, cosi' come non e' certo l'unica multinazionale che si avvalga di pratiche fin troppo disinvolte per pagare meno imposte possibili.

IL CULTO LAICO DI STEVE JOBS E I LATI OSCURI DELLA MELA

Il culto laico della figura di Steve Jobs e la devozione fanatica che molti consumatori hanno nei confronti del gruppo di Cupertino hanno pero' pochi eguali nella storia dell'economia e rendono ancora piu' stridente il contrasto tra l'aura quasi sacrale che avvolge il marchio della mela e prassi produttive non sempre rispettose degli standard etici. E' vero pero' che, proprio in virtu' di questa incomparabile esposizione mediatica, Apple e' stata soggetta ad attacchi ai quali concorrenti che contano sugli stessi fornitori sono riusciti in parte a sfuggire, e che ha anche risposto, negli ultimi anni, con iniziative improntate a una maggiore trasparenza. Iniziative che costituiscono si' un apparente passo nella giusta direzione ma la cui efficacia e' molto difficile da valutare, considerando quanto intricata, e a volte opaca, sia la filiera che contribuisce all'assemblaggio del 'melafonino'.

E i fronti di polemica nei confronti dell'azienda piu' ricca del mondo non si esauriscono certo qui.

IL COLTAN DALLE ZONE DI GUERRA

I condensatori contenuti negli smartphone contengono tantalio, un metallo ricavato dal coltan. Il 30% della produzione mondiale di questo minerale arriva dalla Repubblica Democratica del Congo, Paese lacerato da guerre civili alimentate anche dalla lotta per il controllo delle materie prime delle quali l'ex Zaire e' ricchissimo. A estrarre il coltan sono spesso bambini, soggetti agli abusi e alle violenze delle formazioni paramilitari che controllano parte della filiera mineraria. Secondo le Nazioni Unite, circa tre quarti del coltan estratto in Congo viene prodotto in condizioni illegali e senza rispettare i diritti e la sicurezza dei lavoratori. I ricavi, inoltre, vanno in parte a finanziare le campagne dei signori della guerra. Apple, cosi' come le rivali Samsung e Nokia, ha pero' adottato negli ultimi anni delle contromisure. Dal Supplier Responsibility Report del 2014 di Apple risulta che tutti e 22 i metalli utilizzati per gli smartphone non provengono da aree dove sono in corso conflitti. Non e' pero' tutto cosi' semplice: le iniziative etiche dei produttori di elettronica da consumo hanno avuto come conseguenza inintenzionale un'esplosione del mercato nero di coltan, che viene contrabbandato verso Paesi, come la Cina e il Kazakhstan. E' quindi legittimo dubitare delle informazioni sulla tracciabilita' dei minerali riferite dai fornitori.

GLI 'SWEATSHOP' CINESI, NON SOLO FOXCONN

La societa' taiwanese Foxconn, il maggior fornitore al mondo di componenti per l'elettronica da consumo, era salita all'attenzione della stampa per i 18 suicidi avvenuti nel 2010 tra i dipendenti delle sue fabbriche in Cina, sottoposti a turni superiori alle 60 ore settimanali. Apple reagi' con una serie di inchieste interne dalle quali emerse inoltre che le fabbriche, oltre a non rispettare le norme sulla sicurezza sul lavoro e a non riportare in maniera adeguata gli infortuni, impiegavano occasionalmente minorenni. Nonostante le pressioni dei committenti, preoccupati anche dal danno d'immagine, due anni dopo la situazione non risultava essere migliorata granche'. Emblematica fu la protesta, nel gennaio del 2012, di 250 operai dello stabilimento Foxconn di Wuhan che minacciarono di gettarsi dal tetto dell'edificio per protestare contro le condizioni di lavoro. La tempesta mediatica non si placo' e Cupertino scelse di appaltare parte della produzione a un'altra societa' taiwanese, la Pegatron. Catena di suicidi a parte, il copione non sembro' essere mutato: nel 2014 un'inchiesta della Bbc rivelo' che Apple non aveva rispettato interamente le promesse di vigilare sulle condizioni di lavoro all'interno degli stabilimenti dei fornitori. Quanto alla Foxconn, ha deciso di tagliare la testa al toro con un piano per sostituire interamente gli operai con robot.

LE BATTAGLIE SUI BREVETTI CON SAMSUNG

Complessa, potenzialmente infinita e ricca di cambiamenti di fronte e' la guerra dei brevetti tra Apple e Samsung, la grande rivale nel mercato degli smartphone. E' da ormai dieci anni che i due giganti dell'elettronica si denunciano a vicenda nei tribunali di mezzo mondo per aver utilizzato brevetti depositati dalla concorrente. Tali battaglie legali hanno anche risvolti economici non trascurabili, dato che le eventuali multe hanno poi un impatto sul prezzo del prodotto. Come spesso accade in vicende simili, e' molto difficile comprendere chi abbia ragione. Il verdetto piu' controverso fu forse quello dell'agosto 2012, quando un tribunale statunitense emise un giudizio favorevole ad Apple che fu giudicato parziale da numerosi addetti ai lavori, tra cui la rivista Wired. A insospettire furono gli appena tre giorni di deliberazione a fronte degli oltre 700 quesiti posti dalla causa e all'esperienza nell'industria dell'elettronica del presidente della giuria, Velvin Hogan, che, in virtu' delle sue competenze, avrebbe pesato troppo sul giudizio degli altri membri della giuria. Il conflitto approdo' anche nelle aule italiane quando, nell'autunno 2013, la compagnia sudcoreana deposito' una causa contro Apple presso il tribunale di Milano, accusando Cupertino di aver attinto a brevetti depositati da Samsung per il design dell'iPhone4S, appena lanciato.

LO SCONTRO CON L'ANTITRUST AMERICANA

Lunga e' anche la lista di casi che hanno visto Apple nel mirino dell'autorita' antitrust degli Stati Uniti. Il primo risale al 2005, quando una class action denuncio' la posizione di monopolio di fatto del servizio iTunes, il cui software non consentiva di leggere i brani digitali prodotti dalla concorrenza, in questo caso RealNetworks. Negli anni successivi seguiranno una serie di cause dall'esito alterno riguardanti il blocco totale delle app di terze parti e class action portate avanti dai consumatori per i motivi piu' disparati, dalla scarsa durata delle batterie dell'iPod alle violazioni della privacy. E' invece dell'aprile 2012 l'iniziativa del dipartimento di Giustizia di Washington contro il cosiddetto "cartello degli ebook", che aveva visto i maggiori operatori del settore accordarsi per fissare i prezzi dei libri digitali. Un anno dopo il giudice distrettuale di Manhattan concluse che Apple aveva avuto un "ruolo centrale" nel 'sodalizio'.

LA "OTTIMIZZAZIONE FISCALE" E QUELL'ALIQUOTA DELLO 0,005%

Si chiama 'Double Irish with Dutch Sandwich'. E' la famigerata triangolazione contabile attraverso la quale i colossi della Silicon Valley, spostando la sede fiscale a Dublino, riescono a pagare imposte sugli utili bassissime e dichiarare parte delle imposte alle Bahamas o alle Bermuda. Difficile digerire la presenza di un paradiso fiscale nel cuore di un'Europa che costringe i suoi membri piu' indebitati a tagliare la spesa sociale per rispettare le ferree regole contabili del Patto di Stabilita'. Data la scarsa sostenibilita' politica della situazione, alcuni mesi fa Bruxelles ha provato a correre ai ripari. Ed e' cosi' che lo scorso settembre la Commissione Europea ha ingiunto ad Apple di rimborsare 13 miliardi di euro di tasse arretrate all'Irlanda, dove Cupertino paga un'aliquota effettiva sugli utili pari allo 0,005%. La vicenda non si e' ancora conclusa. Se fu dura la reazione a caldo del numero uno di Cupertino, Tim Cook, che parlo' di "political crap" (letteralmente: "stronzata politica"), decisamente surreale la replica dell'esecutivo di Dublino, che asseri' di non volere quella somma, cosi' da poter mantenere il proprio status di paradiso fiscale di fatto. Si tratta dello stesso Paese che qualche anno prima era stato salvato dal default con un prestito da 45 miliardi di euro messo a disposizione dagli altri paesi dell'Unione Europea. In sostanza, siamo di fronte a un debitore che rifiuta una somma messa a disposizione da un creditore al quale deve piu' del triplo


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