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Finanza

Le autorità di vigilanza europee (ESA) hanno il dovere legale di raccogliere, analizzare e comunicare i dati sulle "tendenze di consumo" nei loro rispettivi campi: la triste realtà è che il risparmio a lungo termine e il nodo delle pensioni rimangono fra i pochi punti dei servizi al dettaglio in cui né i clienti né i supervisori pubblici sono adeguatamente informati sulla reale performance netta dei servizi resi.

Il totale degli attivi dei 300 maggiori fondi pensione a livello mondiale è diminuito, secondo la ricerca condotta dalla Willis Towers Watson su pensioni e investimenti: «La volatilità dei patrimoni gestiti in combinazione con passività sempre maggiori testimoniano quanto sia diventato difficile per i fondi pensione soddisfare le proprie mission». Calano del 5% i fondi a prestazione definita, quelli che garantiscono al lavoratore una pensione prefissata, così come calano, intorno al 2%, i fondi a contribuzione definita, nei quali la prestazione dipende dall’ammontare dei contributi versati e dai risultati della gestione finanziaria.

L’Ocse teme che la ricerca di rendimenti possa spingere i gestori verso investimenti troppo rischiosi e segnala anche il rischio che uno scenario di bassi tassi d’interesse, combinato con la maggiore aspettativa di vita, possa peggiorare il grado di solvibilità delle compagnie che erogano rendite e dei fondi a prestazione definita, con la possibilità concreta che questi intermediari si vedano costretti a ridurre le prestazioni promesse.

Con l'eccezione dell’eccellente, ma incompleta, ricerca effettuata dall'OCSE in materia, nessuna informazione sul rendimento reale (dopo oneri, inflazione e - quando possibile - imposte) dei prodotti di risparmio a lungo termine esisteva prima della ricerca condotta nel 2013 dall’Associazione Europea a tutela degli investitori e risparmiatori denominata Better Finance, con sede a Bruxelles.

I risultati del rapporto, aggiornato al 2016, pubblicato in questi giorni dall’Associazione conferma chiaramente che le prestazioni a lungo termine dei prodotti di risparmio promossi ai cittadini dell'UE (in particolare per il risparmio a lungo termine e per la pensione) ha purtroppo molto poco in comune con l'andamento dei mercati dei capitali. Ciò è dovuto principalmente al fatto che la maggior parte dei cittadini europei investono meno, e meno direttamente, nei prodotti del mercato dei capitali (ad esempio azioni, obbligazioni ed ETF a basso costo) ma più in prodotti caricati da forti spese di commissione (come strumenti finanziari o polizze vita "pre-confezionati").

Si potrebbe sostenere che i prodotti assicurativi e previdenziali potrebbero avere rendimenti simili ad un portafoglio misto di azioni e obbligazioni, in quanto queste sono le componenti principali di investimento sottostanti dei prodotti "a pacchetto" in questione. Ma usando questa logica per calcolare i ritorni per i portafogli degli investitori al dettaglio, come l'Autorità bancaria europea (ESMA) ha fatto, implica un "atto di fede", nel senso che ignora completamente le realtà quali le spese e le commissioni addebitate sui prodotti al dettaglio, i tassi di turnover del portafoglio, i rischi di gestione, ecc.  Spese che da sole rendono totalmente fasullo questo approccio metodologico.

Nel complesso, un investimento diretto equilibrato (ad esempio 50% in azioni europee e 50% in obbligazioni in euro) effettuato da un risparmiatore europeo nel mercato dei capitali all’inizio del secolo avrebbe restituito un consistente + 105% in termini nominali (al lordo delle tasse e imposte) e + 47% in termini reali. Il che significa un rendimento reale medio annuo del + 2,5%. Purtroppo la maggior parte risparmio previdenziale non ha, in media, nulla a che fare con questi risultati, né tantomeno è vicino a quelli dei più redditizi mercati dei capitali: in troppi casi anzi è stato spazzato via il valore reale per i risparmiatori in piani pensionistici europei (cioè è stato realizzato un rendimento negativo al netto dell'inflazione).

Le commissioni, il cui lavoro è spesso complesso e opaco, non riescono a intervenire a sufficienza su questa palese discrepanza fra i rendimenti del mercato e le prestazioni dei prodotti previdenziali, soprattutto per i prodotti previdenziali "pre-confezionati". Ci pensano poi le tasse a ridurre ulteriormente il rendimento degli investimenti.

Purtroppo il futuro non sembra più brillante, visto che dopo decenni di mercato “toro” delle obbligazioni è probabile che finiremo a mantenere questi tassi di interesse, ormai scesi ai livelli storicamente più bassi, quando non negativi, con i fondi pensione che hanno aumentato paradossalmente la percentuale riservata ai prestiti obbligazionari nel corso degli ultimi 15 anni.

Paolo Brambilla

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