Ucraina, da Varsavia alla Slovenia: perché la guerra del grano fa male all'Ue
Se da una parte il commercio Ue è in mano trader che hanno interesse a vendere a buon prezzo, dall'altra la partita geopolitica è sempre più "calda"
Conflitto in Ucraina e guerra del grano, la crisi sarà più lunga di quanto si possa immaginare. Analisi
La crisi ucraina ha inizialmente fatto schizzare alle stelle i prezzi di molte materie prime alimentari. L’Ucraina, insieme ad altre nazioni dell’ex blocco sovietico, è una nazione a vocazione agricola, con terreni di ottima qualità. Tra le maggiori commodity alimentari esportate ci sono grano, granturco e semi di girasole. Del grano e granturco esportati una buona parte sono finiti nei mercati europei.
L’accordo “Black Sea Grain Initiative” prevedeva che l’Ucraina potesse esportare le sue materie prime alimentari (in molti casi concorrenti a quelle russe, ma quantitativamente inferiori) e in cambio la Russia poteva fare lo stesso. Il progetto, come dichiarato all’inizio, mirava a sfamare i paesi del terzo mondo, grandi compratori di commodities alimentari ucraine.
Intesa tra Polonia e Ucraina sull'import di grano Polonia e Ucraina hanno raggiunto un accordo sull'importazione del grano e di altri prodotti agricoli ucraini. Lo ha annunciato il ministro dell'Agricoltura polacco Robert Telus in conferenza stampa, al termine dei colloqui tra le delegazioni dei due Paesi. |
Tuttavia, per facilitare la vendita dei prodotti ucraini, e rimpinguare le casse dello stato, l’Unione Europea ha eliminato i principali dazi e altri ostacoli all’importazione dei prodotti alimentari ucraini. La conseguenza è che grano e granturco del paese hanno letteralmente invaso il mercato dell’Unione, danneggiando i produttori nazionali.
Differenti stati a vocazione agricola, come Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno bloccato le importazioni mentre altri come Bulgaria e Repubblica Ceca stanno sperimentando violenti dissidi interni, da parte dei contadini inferociti. Per comprendere cosa accade è meglio fare il punto.
Quando Putin dichiarò che una buona parte delle esportazioni ucraine di materie prime alimentari era inviato nel mercato europeo venne accusato di paranoia. La versione ufficiale del progetto per esportare cereali ucraini era che le commodities alimentari sarebbero andate completamente ai paesi del terzo mondo, affamati a causa della guerra. L’extracomunitaria Ucraina, in materia agricola, non deve sottostare a tutte le regolamentazioni che invece sono obbligatorie per gli agricoltori europei. Per questa ragione il prezzo delle materie prime alimentari è vantaggioso, rispetto ai prezzi praticati dai produttori dell’Unione. Abolendo dazi e altri balzelli vigenti tra Ue e Ucraina, l’esportazione delle commodity alimentari dall’Ucraina verso l’Europa è diventata un fiume in piena.
È da tenere presente che, mentre i cereali verso i paesi del terzo mondo sono stati in parte gestiti dal World Food Program, il commercio Ucraina-Ue è in mano ai trader (in buona parte turchi o basati in Turchia). I trader hanno interesse a vendere il grano a buon prezzo, spazzando via la concorrenza locale, di fatto effettuando un dumping commerciale indiretto. Questa pratica si è tradotta in un’ottima opportunità per gli speculatori agricoli, che possono fare più margini tenendo gli stessi prezzi alla Gdo. Diversamente è divenuta una tragedia per i milioni di agricoltori di Romania, Ungheria, Polonia, Slovenia, Bulgaria e Repubblica Ceca.
Il tema non è solo agricolo ma economico e geopolitico. In una lettera del 31 marzo 2023 alla Commissione Europea e alla stessa Ursula der Leyen i primi ministri di Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria hanno richiesto i membri della Ue di valutare l’acquisto del surplus agricoli dei loro contadini, per compensare le perdite.
Dall’economia alla geopolitica il passo è breve. Il fronte dei paesi che si oppongono formalmente, o che hanno violente proteste dei loro elettori agricoltori, è andato via via aumentando. I paesi dell’ex blocco sovietico sono i più ferventi sostenitori della Nato contro la Russia, la Polonia è l’alfiere di questo movimento. Le recenti rivolte dei contadini hanno obbligato il ministro dell’agricoltura polacco a dimettersi. L’Ungheria è generalmente considerata un paria in Europa: troppo filo putiniana (o filo interessi nazionali, a seconda dello storytelling).
Polonia e Romania, tuttavia, sono viste come alleati validi all’interno della Nato. La leadership politica polacca, soprattutto, è la più fervente alleata degli Usa, in seno alla Nato, insieme ai piccoli stati baltici. In questi giorni il nostro presidente Mattarella ha visitato la nazione portando i nostri saluti e rinsaldando i rapporti commerciali tra i nostri stati. Nei temi discussi, ovviamente, ha trovato spazio sia il supporto che la Polonia offre all’Ucraina sia la decisione, invisa a Washington, di bloccare l’importazione di commodities alimentari Ucraine.
A fine marzo 2023 oltre 23 milioni di tonnellate metriche di grano e altre commodities alimentari erano state esportate attraverso il mar Nero, stante i dati della UE. The Black Sea Grain Initiative implementato da Turchia, Russia e Ucraina ha permesso ai cereali bloccati nei magazzini dei porti di Odessa, Chernomorsk e Yuzhny di raggiungere i mercati europei e del terzo mondo. Circa 22 milioni di tonnellate di cereali si stima fossero bloccati nei silos.
Dal suo lancio sino al 15 marzo 2023 la Black Sea Grain Initiative ha permesso a 927 cargo di uscire dall’Ucraina. 45 differenti nazioni hanno ricevuto le commodities. Tra i primi 5 stati per quantità di navi e merci ricevute ci sono la Turchia e 3 stati europei: Spagna, Italia e Olanda. Come riporta la Think Tank agricola Farm Europe di tutti i cereali esportati circa il 40% sono finiti in Europa e l’11% in Turchia.
Bruxelles sta cercando in ogni modo di raffreddare gli animi. Il 20 Marzo ha offerto un totale di 56 milioni di euro in compensazione per gli agricoltori danneggiati. Di questi la Bulgaria ne ha ricevuti quasi 17 milioni, i polacchi 30 milioni e i rumeni circa 10 milioni. Le cifre in ballo sono considerate insufficienti sia dagli agricoltori che dai politici degli stati danneggiati.
Il problema creato dall’export ucraino rischia di non risolversi velocemente. Per aiutare economicamente l’Ucraina è plausibile che ogni facilitazione, oggi accordata al settore agricolo, rimarrà per alcuni anni. L’Unione Europea rischia di danneggiare tutto il settore agricolo orientale. Tutti questi stati sono democrazie libere e, per alcuni, le elezioni sono vicine (la Polonia a fine 2023, per esempio). Esiste il rischio che i partiti dell’opposizione, cavalcando l’onda del malcontento tra gli agricoltori, possano vincere le elezioni, rendendo alcuni di questi paesi meno amici degli interessi Nato (tipo l’Ungheria). A questo si aggiunga il pericolo sanitario che i prossimi raccolti potrebbero rappresentare. Una parte dei terreni agricoli ucraini saranno sempre più esposti a differenti agenti contaminanti sia di natura chimica che, con i nuovi carri armati Challenger, radioattiva.
La Nato stima che lo sminamento dei territori agricoli richiederà anni. Per conseguenza i terreni agricoli liberi saranno soggetti a coltivazioni intensive. Ovviamente le autorità europee vigilano, come sempre, sulla salute dei beni alimentari che vanno sulle tavole dei cittadini dell’Unione. Al momento non si segnalano casi di cibo con livelli di tossicità oltre la norma. Il problema primario resta lo squilibrio economico dato dai prodotti ucraini e le ripercussioni sul medio termine nell’elettorato europeo danneggiato.