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L'avvocato del cuore
Eredità e patto di famiglia, come lasciare l’azienda a uno solo dei figli

“Gentile Avvocato, sono un imprenditore di 72 anni, titolare di un’impresa familiare. Ho 3 figli che non vanno molto d’accordo tra di loro e ritengo che solo uno di loro sia capace di proseguire l’attività che ho avviato ormai 50 anni fa. Esiste uno strumento giuridico che mi assicuri, nei confronti di quest’ultimo, la continuità generazionale nell’azienda, escludendo l’interferenza degli altri due figli?”.

Da qualche anno, esiste uno strumento che potrebbe essere la soluzione che cerca.

Nel 2006 sono stati inseriti nel codice civile gli articoli da 768 bis a 768 octies, che regolamentano il patto di famiglia, ovvero un contratto con cui «l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti».

Si tratta di un contratto successorio, ossia di sistemazione della successione di un imprenditore, che attribuisce la titolarità dell’azienda o della partecipazione sociale a favore di uno o più discendenti, non necessariamente per una ragione specifica, ma ai fini della continuità generazionale.

Proprio in questa prospettiva, l’attribuzione può essere fatta soltanto in favore dei discendenti, e non del coniuge.

Il discendente prescelto (uno o più), deve però liquidare una somma di danaro ai legittimari (cioè i soggetti che avrebbero diritto ad una parte del patrimonio se in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore), che non risultino tra gli assegnatari dell’azienda o della partecipazione sociale.

In Italia, infatti, alcuni familiari (i discendenti in linea retta, il coniuge, gli ascendenti se viventi) hanno un diritto non eliminabile a conseguire una quota del patrimonio della persona defunta nella successione di questa.

Il diritto ad ottenere la liquidazione della propria quota è, peraltro, rinunciabile.

È discussa la natura del patto di famiglia. L’opinione prevalente in materia è quella secondo cui il patto di famiglia è un contratto a più parti, la cui conclusione richiede quindi l’intervento di tre categorie di soggetti: 1. l’imprenditore; 2. il discendente o i discendenti cui viene attribuita l’azienda o le partecipazioni sociali e, infine, 3. gli altri potenziali legittimari esistenti al momento del perfezionamento del contratto.

L’art. 768 quater c.c. prevede infatti che «al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore».

Non è sufficiente quindi, affinché il patto di famiglia sia validamente concluso e possa produrre tutti gli effetti che la legge gli riconnette, che ad esso partecipino soltanto l’imprenditore e il/i discendenti. Per i legittimari esistenti e non coinvolti nella stipulazione del contratto, infatti, quest’ultimo sarebbe assolutamente irrilevante.

Bisogna notare come il legislatore, introducendo il patto di famiglia nel nostro ordinamento, abbia voluto segnare una netta linea di demarcazione tra gli eredi legittimari già esistenti al momento della conclusione del patto di famiglia, e quelli invece non ancora venuti ad esistenza in quel momento, sottoponendo gli uni e gli altri ad una disciplina diversa.

L’effetto previsto dall’art. 768 quater, ultimo comma, c.c., per cui le attribuzioni realizzate dal disponente con il patto di famiglia hanno carattere definitivo, in quanto nei loro confronti non potranno sorgere contestazioni ereditarie, può prodursi infatti nei confronti dei legittimari già esistenti soltanto con il loro consenso, mentre si impone “automaticamente” nei confronti dei legittimari sopravvenuti.

Questi ultimi avranno, di conseguenza, soltanto un diritto alla liquidazione in danaro della quota loro spettante sui beni oggetto del patto di famiglia.

È importante poi individuare quali sono le conseguenze della mancata partecipazione al patto di famiglia di uno dei legittimari già esistenti. Questa situazione dà luogo alla nullità del patto stesso ed all’inclusione dei beni dell’impresa nell’asse ereditario, non essendo mai passati in proprietà dei discendenti assegnatari.

Infine, si deve ricordare come il patto di famiglia debba essere obbligatoriamente stipulato per atto pubblico, di fronte ad un notaio.

Con le dovute cautele, quindi, questo strumento potrebbe risolvere il suo problema e assicurarle la prosecuzione dell’attività.

*Studio Legale Bernardini de Pace

 

 

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