Il caso Pieroni e la legge toscana sul suicidio assistito: quando la scelta personale incontra il vuoto normativo - Affaritaliani.it

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Il caso Pieroni e la legge toscana sul suicidio assistito: quando la scelta personale incontra il vuoto normativo

Di Ernesto Vergani

Il 17 maggio Daniele Pieroni, scrittore e musicista di 64 anni residente a Chiusi (Siena), affetto da una forma avanzata di Parkinson, ha scelto di porre fine alla sua vita tramite suicidio medicalmente assistito. Lo ha fatto nella propria casa, in presenza di medici e familiari, dopo un lungo percorso formale e sanitario, reso possibile dalla recente legge regionale sul fine vita approvata dalla Toscana a febbraio. È il primo caso attuato in questa regione.

La normativa toscana, basata sulla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, definisce tempi, requisiti medici e procedurali per l’accesso al suicidio assistito. È una risposta regionale a un vuoto legislativo nazionale: in Italia, infatti, non esiste ancora una legge statale sul fine vita, nonostante i richiami della Consulta e il dibattito pubblico crescente. Il Governo ha impugnato la norma della Regione Toscana, sostenendo che la materia è di competenza statale. In attesa del pronunciamento della Corte, la legge regionale resta pienamente applicabile.

Uno sguardo all’estero. Dove la morte assistita è legge

La vicenda di Pieroni si inserisce in un contesto europeo e occidentale molto diversificato. In Olanda e Belgio, eutanasia e suicidio assistito sono legali da oltre 20 anni e regolati con protocolli rigorosi. Anche in Spagna, Canada, Lussemburgo e Colombia esistono leggi che permettono la morte medicalmente assistita in presenza di malattie irreversibili o sofferenze intollerabili. La Svizzera consente il suicidio assistito (anche agli stranieri), purché l’atto finale sia compiuto dal paziente stesso. In Austria e Germania il tema è stato depenalizzato, ma è ancora oggetto di dibattiti giuridici. In altri Paesi, come Francia, Regno Unito o Italia, l’assenza di una legge organica nazionale costringe a soluzioni parziali o affidate alla giurisprudenza.

Argomenti favorevoli. Libertà, dignità, trasparenza

Chi sostiene la liceità di queste pratiche parte dal principio della libertà individuale. Se una persona lucida, gravemente malata, soffrisse senza prospettive di miglioramento, dovrebbe poter scegliere quando e come interrompere la propria vita. Secondo questa visione, regolamentare significa anche evitare zone grigie, pratiche clandestine o viaggi della disperazione verso l’estero. Le leggi che prevedono il suicidio assistito stabiliscono criteri clinici e psichici severi, richiedono più pareri medici e offrono percorsi trasparenti e tracciabili. La dignità della persona, in questo senso, è interpretata come autodeterminazione fino alla fine.

Argomenti contrari. Rischi, confini morali e tutela dei fragili

Chi si oppone teme un indebolimento del valore della vita, soprattutto per chi è più vulnerabile. Si pone il problema delle pressioni sociali, familiari, economiche che potrebbero influenzare decisioni apparentemente autonome. Un altro nodo riguarda le cure palliative: se non vengono garantite in modo uniforme, il rischio è che si scelga di morire non per sofferenza incurabile, ma per mancanza di alternative.

La prospettiva della Chiesa: la vita come bene indisponibile

La posizione della Chiesa cattolica è netta: la vita umana è considerata un bene indisponibile, da accogliere e accompagnare fino alla sua conclusione naturale. L’eutanasia e il suicidio assistito, anche se motivati dalla sofferenza, vengono ritenuti moralmente inaccettabili, in quanto espressione di una cultura che riduce la vita a una dimensione funzionale. Secondo questa visione, la risposta alla sofferenza non è anticipare la morte, ma rafforzare le reti di cura, solidarietà e accompagnamento spirituale.

Un nodo aperto. Che fare?

La discussione rimane aperta, tra posizioni diverse sul ruolo dello Stato, il margine di autonomia individuale e le responsabilità del sistema sanitario. In assenza di una norma unitaria, la gestione concreta resta affidata a medici, comitati etici, amministrazioni locali e cittadini che chiedono di decidere sul proprio destino.