Referendum, fisco e realtà: due Italie che non si parlano - Affaritaliani.it

Lo sguardo libero

Referendum, fisco e realtà: due Italie che non si parlano

Di Ernesto Vergani

I referendum appena conclusi non hanno raggiunto il quorum. Sette elettori su 10 non sono andati a votare. L’affluenza così bassa non è stata un caso.

La campagna è rimasta chiusa nel recinto dei già convinti. Linguaggi stanchi, simboli riciclati, messaggi prevedibili. Nessuna proposta ha rotto l’indifferenza. Lavoro e cittadinanza ridotti a slogan. Nel vuoto si è infilato tutto: la vecchia liturgia della CGIL, il nuovo corso Conte-centrico del M5S, le divisioni del PD. Ma anche la passività cinica del Governo, contento che la consultazione fallisse da sola.

Nel frattempo, i dati fiscali raccontano un’altra distanza: quella tra redditi dichiarati e stili di vita. Una parte consistente del Paese non paga le tasse come dovrebbe. Lo confermano i numeri del Dipartimento Finanze del MEF, analizzati da Il Fatto Quotidiano. Bar, ristoranti, locali notturni: redditi dichiarati attorno ai 15.000 euro annui. Panetterie e mercerie sotto i 20.000. Gioiellieri e pelliccerie intorno ai 28.000. Campeggi: 15.000. Idraulici ed elettricisti fermi a 18.000, pur con attività stabile.

Eppure basta guardare le strade. I redditi ufficiali parlano di sobrietà. Il traffico urbano mostra SUV, crossover, leasing ostentati. Una sproporzione evidente. Come ricordò il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno 2022/2023: “La Repubblica è di chi paga le tasse.” Si riparta da qui. Dalla giustizia fiscale come fondamento della cittadinanza.