Coronavirus, "Tornati a dover scegliere chi salvare. Molti tumori non curati" - Affaritaliani.it

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Coronavirus, "Tornati a dover scegliere chi salvare. Molti tumori non curati"

Lo sfogo del direttore malattie infettive al Sant'Orsola di Bologna: "Un chirurgo si chiedeva, opero un tumore al pancreas o uno al colon?"

Coronavirus, "Tornati a dover scegliere chi salvare. Molti tumori non curati"

Il dramma della pandemia da Coronavirus in Italia continua. Gli ospedali sono tornati a livelli di emergenza di un anno fa, con i reparti di terapia intensiva sempre più saturi. In Emilia Romagna si registra una delle situazioni più complicate, ampiamente superata la soglia critica, come testimonia il direttore del reparto malattie infettive del Sant'Orsola di Bologna. "Qualche giorno fa, - spiega Pierluigi Viale a Repubblica - come sempre, ci siamo riuniti di buon mattino con i colleghi dell’ospedale. Un chirurgo si chiedeva: ho un solo posto, che faccio, opero un tumore al pancreas o uno al colon? Ecco, anche questo è il Covid. Ci mette di fronte a scelte che non fanno dormire la notte. Da noi la circolazione è furiosa. Chiunque può essere colpito. In ospedale abbiamo gente di ogni età. Sono 360 giorni che ci prendiamo a botte con il virus, e continueremo a farlo fino a quando sarà necessario. Ma la cosa che trovo più angosciante è fermare tante altre attività degli ospedali e mettere in lista d’attesa malattie che il nostro sistema sanitario non avrebbe mai permesso di lasciare indietro. Un malato di tumore non può aspettare".

"Sono giorni pesantissimi per tutti. Ai colleghi del pronto soccorso - prosegue Viale a Repubblica - arrivano tantissime persone che hanno bisogno di un letto o di cure intensive. Ma saturare troppi posti di terapia intensiva con pazienti Covid vuole dire rallentare tutte le altre attività chirurgiche e molte attività non chirurgiche. Le emergenze sono sempre garantite: chi ha un infarto o un trauma grave arriva in ambulanza a sirene spiegate e viene assistito. Per gli interventi urgenti troviamo aiuto anche dal privato. Ma ci sono gli altri pazienti da assistere, e per loro diventa difficile trovare collocazione. Mio padre mi diceva che la nostra è una generazione fortunata perché non ha vissuto la guerra. Ora questa è la nostra guerra, e ce la stiamo giocando al meglio delle nostre forze. A farci paura non sono le bombe, ma il timore di non riuscire a garantire il meglio a tutti, che è il principio del nostro sistema sanitario".