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Coronavirus
Dpcm, proteste: il governo non permetta la degenerazione stile anni '70
(fonte Lapresse)

A Napoli e a Roma, ci sono state, negli ultimi giorni, contro le misure anti-Covid, scene di guerriglia, lanci di bottiglie incendiarie e scontri tra gli agenti e i manifestanti. Ma anche proteste, civili e ordinate, di cittadini furibondi con i governanti, nazionali e locali. Ridurre quanto è successo a moti della camorra, dei fascisti e dell’opposizione  è demenziale e, ancora una volta, dimostra la distanza fra certi “Soloni” e la vita reale.

Parcheggiatori, camerieri, baristi, massaggiatori, artisti:  se viene bloccata l’Italia, che lavora, in nero non ci si può stupire della rivolta sociale. I governi, centrale e regionale, non devono sottovalutare il malcontento del capoluogo e neppure la situazione sociale di Napoli, della Campania e del Sud. La stretta anti-Covid rischia di alimentare il fuoco delle proteste in territori, dove la disoccupazione, in primis quella dei giovani, tiene ben saldi i primi posti delle classifiche. I duellanti, De Luca e de Magistris, bocciati da molti osservatori, non sono i nuovi Masaniello, ma i rappresentanti di un ceto politico di livello non elevato. A chi, se non al troppo facondo  “sceriffo di Salerno”-bocciato, su “Libero, da Farina-spettava il compito di ampliare la ricettività e la qualità delle strutture sanitarie campane ?

E, dunque, spetta, in primis, all’esecutivo di Conte intervenire, accendendo i riflettori sulle rivendicazioni e ricordando precedenti allarmanti. Nel 1970, a Reggio Calabria, un capopopolo fascista, Ciccio Franco, poi senatore MSI, sobillò i concittadini, mettendo a ferro e a fuoco le strade e le piazze, con il pretesto del “pennacchio” del capoluogo, assegnato dall’allora premier Dc, don Emilio Colombo, a Catanzaro. La fine della “rivolta”, che durò 10 mesi e provocò 6 morti, fu segnata dall’inquietante immagine dei carri armati sul bellissimo lungomare della “città dolente”.

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