L’Italia perde ancora terreno e l’agricoltura del Paese rischia di arretrare all’avanzare di una cementificazione forsennata e pericolosa che danneggia produzioni e paesaggio, patrimonio fondamentale da tutelare con una legge ad hoc sul consumo di suolo. “Deve intervenire il Parlamento”, afferma Alessandro Mastrocinque, presidente di Cia Campania, che rilancia la proposta di Cia-Agricoltori Italiani avanzata sulla scorta dai dati di recente diffusi dall’Ispra secondo cui nel 2020 sono andati persi altri 57 chilometri quadrati di territorio nazionale, al ritmo di 2 metri quadrati al secondo. La Campania rispetto allo scorso anno ha consumato +10,3%, con una superficie di suolo consumato pari a 140.033 ettari. A fare peggio solo la Lombardia con 287.740 ettari (12,1%).
In meno di vent’anni la superficie edificata ha corroso oltre 2 milioni di ettari coltivati, cancellando il 16% delle campagne. Negli ultimi sette anni fino al 2019, sottolinea il rapporto Ispra, la perdita dovuta al consumo di suolo in termini di produzione agricola complessiva, ha raggiunto i 3,7 milioni di quintali per un danno economico pari a quasi 7 miliardi di euro. Nel dettaglio sono stati “cancellati” 2 milioni e mezzo di quintali di prodotti da seminativi, seguiti dalle foraggere (-710.000 quintali), dai frutteti (-266.000), dai vigneti (-200.000) e dagli oliveti (-90.000).
“Così cancelliamo il futuro. La Campania ne esce a pezzi”, denuncia Mastrocinque. Il numero uno della Confederazione degli Agricoltori della Campania sottolinea che “assieme ai terreni, inoltre, si perdono ambiente, biodiversità, cultura e attività economiche strettamente legate ai territori”. Anche quest’anno, indagando i primi comuni in termini di percentuale di superficie artificiale rispetto ai confini amministrativi, si osserva che i piccoli centri urbani della Campania -e in misura minore di altre regioni- si distinguono per essere quelli che presentano un alto o altissimo tasso di suolo consumato. Nello specifico, Casavatore, Arzano, Melito di Napoli, in Campania, rivelano una percentuale di aree coperte artificialmente che supera il 90% nel primo e l’80% negli altri due.
“Va inoltre sottolineato che -ribadisce Mastrocinqu - che la mancata manutenzione del territorio, il degrado, l’incuria, la cementificazione selvaggia e abusiva, l’abbandono delle zone collinari e montane dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore, contribuiscono a quei fenomeni di dissesto idrogeologico che hanno reso ancora più fragile l’Italia e in quelle zone maggiormente vulnerabili e neanche ora al riparo dall’avanzare della copertura artificiale”.
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