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Cronache
Coronavirus, De Masi: "No over 60 chiusi in casa, ma libertà e smartworking"

“Io sono contrario, credo di essere sufficientemente adulto e maturo per decidere da solo se uscire e come uscire, proteggendo anche gli altri”. Così il sociologo Domenico De Masi commenta con Affaritaliani.it il dibattito in corso sugli over 60. La task force di esperti presieduta da Vittorio Colao ha presentato nei giorni scorsi delle proposte che prevedono anche l’allungamento della quarantena per i più anziani, per cui è consigliato rimanere a casa anche dopo il 4 maggio. Ma il Presidente del Consiglio Conte ha già fatto sapere che non accetterà questa iniziativa.

 

Colao ha suggerito di prolungare la quarantena per gli over 60, ma Conte si è dichiarato in disaccordo. Lei cosa ne pensa?

Io sono contrario già da anni, credo di essere sufficientemente adulto e maturo per decidere da solo se uscire e come uscire, proteggendo anche gli altri.

 

E infatti over 60 ormai significa essere adulti, non più essere anziani. Spesso si ha anche un aspetto molto giovanile, pensiamo a Fiorello: ha 60 anni, sembra un ragazzo, eppure ha dichiarato che lui continuerà a stare in casa.

In un secolo abbiamo quasi raddoppiato la vita media, e anche l’inizio della vecchiaia si è spostato molto in là. In media, la vecchiaia riguarda gli ultimi due anni di vita. Se per esempio, si muore a 80 anni, la vecchiaia inizia a 78. E poi c’è un fatto: la vecchiaia è totalmente soggettiva. Ci sono persone che a 60 anni sono già debilitate, altre che a 80 sono nel pieno delle forze.

Se Fiorello vuole stare a casa, può farlo, come chiunque, anche i ventenni, ma deve essere una sua scelta. Il problema nasce se si è costretti. A me piace restare in casa perché è il posto in cui vivo, studio e lavoro dieci ore al giorno, però lo devo decidere io.

 

Proprio perché sono molto attivi, “bloccare” in casa gli over 60 significherebbe bloccare anche il resto della società? Per esempio, si è detto che nella pubblica amministrazione molti impiegati non potrebbero tornare al lavoro.

Non è così, perché gli impiegati possono telelavorare. Chiunque può telelavorare deve farlo. Dobbiamo uscire da questa esperienza con un numero enorme di telelavoratori, a prescindere dalla pandemia. È assurdo perdere una o due ore al giorno per andare in un ufficio dove si fanno le stesse cose che si possono fare a casa.

 

Ci sono comunque aspetti su cui questo divieto potrebbero avere delle conseguenze? Per esempio, delle perdite economiche, oppure nelle famiglie i nonni non potrebbero più prendersi cura dei nipoti?

Che se la vedano i genitori! Hanno fatto loro i figli, che se ne occupino loro. A me interessa la qualità della vita. L’economia è una parte importante, ma non deve essere così onnivora da inghiottire tutti gli altri aspetti. In questo periodo migliaia di aziende sono rimaste aperte di nascosto, hanno tenuto in funzione più di duecento fabbriche di armi, ma è necessario? Non è un caso che nel Nord sono morte più persone che nel Sud.

 

Quindi, a suo parere, quali misure andrebbero applicate?

Qualunque siano, devono valere per tutti. Se si può uscire, bisogna uscire tutti, ognuno con la propria consapevolezza, e gli anziani sono molto più attenti e cauti. Nessun anziano esce per fare movida o spararsi una dose di cocaina.

 

Eppure è sembrato che a infrangere spesso questa quarantena siano stati anche gli anziani...

Non so se questo sia vero, ma di certo ci sono anziani che vivono da soli e sono stati costretti a uscire per commissioni necessarie come fare la spesa. Il problema è che i giovani li lasciano soli, o li mettono negli ospizi. Questa è la differenza tra Nord e Sud: quasi la metà degli ospizi italiani sono in Lombardia, dove si dà per scontato che quando un genitore diventa vecchio venga depositato nel magazzino degli agonizzanti.

 

Quindi, più che bloccare gli anziani in casa per proteggerli sarebbe meglio pensare a un altro modo di prendersene cura?

Ma certo. Bisognerebbe chiudere tutti gli ospizi! Sono una forma di inciviltà. Nei piccoli paesi non si manda mai un vecchio in ospizio, soprattutto nei paesi del Sud. Il vecchio ha diritto di morire nella casa dove è vissuto tutta la vita, i giovani hanno il dovere di curarli e se non lo fanno sono delle carogne. E pensi che non è stata fatta nessuna riflessione seria su questo. Su questo schifo che è stato far morire il 50% dei vecchi negli ospizi. Magari ospizi dorati così che il figlio possa stare con la coscienza tranquilla. Al di là delle indagini in corso sulle case di riposo, io muovo un’accusa ai figli, che quando è arrivato il virus non sono andati subito a riprendere i propri anziani per portarli a casa.

 

Da una parte lo smartworking sembra favorire questo tipo di cura casalinga, ma non è difficile metterla in pratica?

Non credo proprio, lo smartworking comporta l’autonomia di organizzarsi il lavoro, senza il vincolo del cartellino da timbrare. Significa che il mio capo mi assegna un compito e io lo svolgo quando e come voglio, l’importante è avere il lavoro ben fatto alla scadenza. Questo è lo smartworking: il lavoratore è padrone del lavoro, non il suo capo. Studio il telelavoro da 40 anni, ho fatto ricerche in tutto il mondo e le assicuro che è molto più facile lavorare così che lasciare la casa vuota con i bambini affidati alle babysitter per andare a chiudersi in ufficio.

 

Insomma, sembra che stia proponendo una riforma molto più vasta delle “semplici” norme anticontagio da applicare nell’immediato.

Ipotizziamo che un lavoratore medio impieghi due ore per andare e tornare dal lavoro ogni giorno: spreca tempo, spreca soldi, crea traffico, per andare in un posto dove fa le stesse cose che potrebbe fare da casa, in un quartiere che gli è estraneo. E allo stesso tempo perde il contatto anche col quartiere in cui vive. Telelavorare poi significa anche - non come in questa emergenza coronavirus che ci costringe in casa - vivere una vita più umana nel quartiere in cui si abita, potersi prendere un caffè al bar, andare dal giornalaio, conoscersi, intessere quelle relazioni sociali che stiamo perdendo.

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