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Cronache
Coronavirus, medico ai colleghi: “Non fatevi chiamare eroi. Ci hanno svilito"

 

Alberto Mingione, 40 anni, chirurgo dell’ospedale “San Carlo” di Potenza scrive una lettera ai colleghi, stremati in corsia ma che continuano a prestare fede al giuramento di Ippocrate: salvare vite. Una lettera intensa e drammatica. Un appello a tutti i professionisti della Medicina nel rifiutare gli elogi e gli attestati di stima da parte della classe dirigente. Sono parole e sassi quelle del medico Mingione che fanno riflettere. E’ una chiamata di responsabilità sociale e di correità politica ed etica alla quale nessuno può sottrarsi.+

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QUESTA LA LETTERA

«Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché chi ti chiama eroe in tempo di guerra è lo stesso che in tempo di pace ha svilito, mortificato, dissacrato la professione medica. Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché chi lo fa ha la passione per gli “slogan”... isterici e riduttivi. E la “malasanità” è uno slogan, uno dei meglio riusciti. Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché non si trasforma una categoria di professionisti, con i loro diritti e i loro doveri, con le loro famiglie, con esigenze sovrapponibili a quelle di ogni altro lavoratore, in un improbabile esercito di martiri o missionari.

Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché ti stanno usando. Senza contegno e senza pudore. Lo fanno per stendere un'elegante, efficace cortina sulle loro enormi responsabilità: quella di averti tolto i mezzi per lavorare ieri, e quella di mandarti oggi in guerra senza le armi. Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché dalla glorificazione mediatica all'accusa di codardia il passo è brevissimo. E quando, per investitura universale, diventi un eroe, non puoi più lagnarti se ti manca la mascherina. Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché ti stanno usando anche certi tuoi colleghi... gli “esperti”.

Loro non hanno il tempo di stare in corsia come te: sono sempre in Tv, sui giornali, sui social, a dire tutto e il contrario di tutto, pur di promuovere la loro immagine, il loro nome o l'ultimo libro pubblicato in tempi record sull'argomento. Lo fanno a nome della categoria, autoproclamandosi rappresentazione mediatica di quell'eroismo che, seppure esistesse, non li riguarderebbe. Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché vivi in un paese che si nutre di sensazionalismo, e, nell'emergenza, arriva puntualmente a considerare l'eroismo obbligatorio. E poi ti impone la scelta: martirio sul campo o gogna mediatico-giudiziaria.

Non farlo. Non cadere nel tranello. Non è obbligatorio essere eroi. E non è neppure necessario. Basterebbe che ognuno – medico, paziente, politico, giornalista, giudice, avvocato - consapevole di essere un uomo (fatto di competenze, ma anche di debolezze, di paure, di limiti e di sacrifici), tentasse di fare il proprio dovere e non si sottraesse al proprio destino e alle proprie responsabilità. E' esattamente quello che noi MEDICI facciamo tutti i giorni, silenziosamente, da molto prima della pandemia. Da sempre. La pandemia, per noi, è soltanto l'occasione di insegnarlo a tutti gli altri. Non perdiamola».

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