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Cronache
"Disagio dentro", a Milano una mostra per portare la giustizia in carcere

La vita in carcere immortalata in "Disagio dentro", uno Stato civile è uno Stato in grado di rispettare la dignità umana. Il commento 

Sono un avvocato penalista che ha mosso i suoi primi passi nella naturale concezione del carcere come luogo opaco. Non ci sfiorava la voglia di “vedere”: la sola idea era una stravaganza, come pensare di parlare con una macchina da scrivere. Non che ci mancasse la curiosità, ma questa veniva soddisfatta attraverso la percezione di sommesse confidenze (raramente); più spesso di segni, accenni fugaci, silenzi eloquenti. Un muro divideva il mondo di dentro dal mondo di fuori: era normale così.

Il muro non divideva solo le persone, ma anche il mondo che ruota intorno alla giustizia. Da una parte il processo, con le sue aule di tribunale aperte al pubblico, dall’altra l’esecuzione della pena, un luogo angusto, di pochi e, soprattutto, chiuso. La fase di esecuzione della pena era la punta immersa di un iceberg rovesciato. Di fatto snobbata dalla giurisdizione. Molto è cambiato da allora, e molto lentamente.

Non è la sede per ripercorrere le tappe di questa evoluzione, ma è opportuno identificare il salto culturale che si è compiuto: si è affermata l’idea che l’esecuzione della pena è parte della decisione; non è qualcosa che i protagonisti del processo di cognizione - pubblici ministeri, avvocati e giudici – possono ignorare. La pena fa parte della giurisdizione, e non solo alla fine del processo come parte succedanea, ma entra nel campo visivo degli operatori fin dalle prime fasi delle indagini preliminari. La pena affianca il processo, smettendo di esserne l’appendice destinata al dimenticatoio delle coscienze.

Detto così sembra semplice, in realtà è un percorso culturale travagliato e complesso, fatto di tappe conquistate con fatica e tutt’altro che ultimato. La mostra fotografica “Disagio dentro che si tiene al Palazzo di Giustizia di Milano dal 7 al 26 novembre 2022 è una di queste tappe ed ha un valore simbolico importante. Non è scontato che gli avvocati (Ordine e Camera Penale) e i magistrati (ANM di Milano) si uniscano per portare in tribunale le foto del carcere, esponendole fuori dalle aule dei processi. È come incidere sulle porte di quelle stesse aule il verso dantesco: “Per me si va tra la perduta gente”.

Sono foto di ordinaria vita carceraria, dentro luoghi neanche dei peggiori. Un giorno, chissà, riusciremo ad esporre anche foto che ritraggono frammenti di vita altrettanto ordinaria ma ben più degradata, in posti davvero fatiscenti. Magari quel giorno decideremo anche di guardare in faccia l’”eterno dolore” che alberga nelle carceri. Intanto va bene così. Siamo già soddisfatti di poter certificare la commistione tra il mondo di dentro e il mondo di fuori, traendo slancio per le prossime tappe culturali.

Il viaggio è in corso. “Viaggio”, così l’ha definito la Corte costituzionale, andando a visitare le carceri italiane in questi ultimi anni. Un’iniziativa rivoluzionaria che ha fatto scendere dall’iperuranio i giudici delle leggi per porli al cospetto delle persone, in una sintesi, quasi un cortocircuito, tra astrazione e carne viva.

Ecco, se un piccolo insegnamento potrà dare questa mostra fotografica è che il processo non è “astrazione” ma è esso stesso “carne viva”; che il giudizio sul fatto non deve far dimenticare la persona; che la civiltà dello Stato consiste nel rispettare la dignità umana; che l’obiettivo ultimo della giurisdizione non è la vendetta ma la ricucitura delle lacerazioni sociali ed il recupero di chi ha sbagliato; che, infine, questo obiettivo non potrà dirsi raggiunto finché il carcere sarà, come oggi, un incubatore di suicidi.

L’avvocatura deve svolgere il suo ruolo, non solo difendendo nei processi di cognizione. Gli avvocati hanno affinato la propria conoscenza della fase esecutiva, anche perché questa sta crescendo di importanza, seppur ancora mortificata negli strumenti e negli organici di magistrati e ausiliari.

Una prova della nuova concezione del ruolo sociale degli avvocati si è avuta quest’estate, con la circolare del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) n. 3695/6145 – Iniziative per un “intervento continuo” in materia di prevenzione delle condotte suicidarie delle persone detenute dell’8 agosto 2022 che prevede – punto 3. D - che ogni Istituto instauri una collaborazione con l’Ordine degli Avvocati territorialmente competente, al fine di stimolare un canale diretto di comunicazione con l’Istituto ove emergano situazioni di rischio per le persone detenute in modo da valorizzare il contributo conoscitivo del difensore e rispettare la tempistica stringente che tali comunicazioni comportano.

Dunque, confrontarsi con gli avvocati per gli operatori penitenziari e gli assistenti sociali non è più sconveniente o, peggio, un tabù. Si prende atto che il difensore è in grado di intercettare i primi e meno apparenti segnali di disagio; dunque, è una fonte importante per chi ha il compito istituzionale di attenuare il disagio e prevenire atti autolesivi.

Di più. Non è solo la riprova di una maturata consapevolezza della funzione sociale svolta dagli avvocati (pur nel pieno rispetto delle prerogative difensive); è l’ammissione che “guardare dentro“ – come la mostra fotografica in tribunale si propone di fare - è la precondizione per sconfiggere il disagio della comunità carceraria e riaffermare la civiltà dello Stato più volte messa in dubbio dalle Corti europee.

*Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Milano

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