Garlasco e l'inchiesta sul "sistema Pavia", dalle intercettazioni ai soldi in contanti: che cosa (ancora) non torna  - Affaritaliani.it

News

Ultimo aggiornamento: 12:21

Garlasco e l'inchiesta sul "sistema Pavia", dalle intercettazioni ai soldi in contanti: che cosa (ancora) non torna 

Dall’inchiesta della procura di Brescia emergono accuse di peculato e corruzione contro l’ex procuratore Venditti e la sua squadra. Si riapre il capitolo dell’archiviazione di Andrea Sempio per il delitto Poggi 

di Emma Rossi

Le indagini della procura di Brescia

L’inchiesta della procura di Brescia sul cosiddetto “sistema Pavia” ha portato alla luce un presunto giro di favori illeciti tra magistrati, imprenditori, politici e forze dell’ordine. Un’indagine che si collega direttamente anche al delitto di Garlasco per via del coinvolgimento dell’ex procuratore Mario Venditti e di alcuni ex carabinieri a lui vicini.

I decreti notificati all’ex capo della procura di Pavia, Venditti, e al pubblico ministero Pietro Paolo Mazza (oggi in servizio a Milano), contengono contestazioni identiche: corruzione e peculato in concorso per una cifra di 750 mila euro e l’utilizzo di almeno una decina di auto di lusso. Gli investigatori stanno acquisendo tutti i documenti relativi ad acquisti, pagamenti e manutenzioni di queste vetture — anche se intestate a familiari — comprese spese per tagliandi e cambi gomme.

Le intercettazioni 

Le attenzioni si sono concentrate sullo “stanzone” della procura di Pavia, ovvero l’ufficio da cui venivano gestite tutte le operazioni di intercettazione ambientale e telefonica. Le attività erano affidate a Pietro Paolo Mazza, coadiuvato da una squadra di carabinieri della polizia giudiziaria selezionati personalmente da Mario Venditti, che tra il 2018 e il 2021 era procuratore facente funzione.

Secondo quanto dichiarato da Giampiero Ezzis, ex militare del nucleo informativo e testimone sentito dagli inquirenti, la gestione del potere all’interno dell’ufficio seguiva logiche di favoritismo: “Funzionava che se eri nelle sue grazie venivi esaltato. Altrimenti eri affossato". Anche l’ex carabiniere Giuseppe Spoto, sentito il 26 settembre insieme ai genitori di Andrea Sempio, ha descritto un contesto di pressioni indebite: “Venditti mi fece fretta sulle intercettazioni. Voleva solo archiviare". 

La "squadra" di Venditti

Secondo quanto ricostruito da La Repubblica, i componenti principali della “squadra” di Venditti erano: Antonio Scoppetta: ex maresciallo, già condannato a 4 anni e 6 mesi per corruzione, noto per il suo stile di vita lussuoso, la disponibilità di contanti e il debole per il giocoSilvio Sapone: luogotenente, considerato il capo operativo e ricordato per aver minimizzato l’importanza delle intercettazioni su Andrea Sempio nel caso Garlasco. Maurizio Pappalardo: ex maggiore, presenza fissa nello “stanzone” pur senza averne titolo ufficiale, con accesso ai fascicoli e riunioni quotidiane con Venditti. Cristiano D’Arena: titolare della Esitel, società incaricata dei servizi di ascolto, e della CrService, che gestiva in esclusiva il noleggio auto per le indagini. Il fratello di D’Arena era proprietario del ristorante dove la “squadra” si ritrovava abitualmente per lauti pranzi. Secondo la procura di Brescia, si trattava di un sistema di relazioni anomale e privilegi, consolidato e strutturato.

Intercettazioni e archiviazione nel caso Garlasco

Nel cuore del filone bresciano rientra anche la gestione delle intercettazioni relative alla famiglia Sempio, coinvolta nell’inchiesta per l’omicidio di Chiara Poggi. Venditti, secondo l’accusa, avrebbe archiviato la posizione di Andrea Sempio in cambio di denaro.

L’ex carabiniere Spoto ha riferito che fu incaricato di trascrivere rapidamente le intercettazioni: “Mi venne chiesto di farlo in uno o due giorni. Il dottor Venditti disse che gli servivano subito per l’archiviazione. È possibile che ci siano state delle inesattezze". Tra le intercettazioni ritenute importanti, una in particolare riguardava un dialogo tra padre e figlio dopo un interrogatorio. In un’altra, il padre diceva che “bisognava pagare quei signori lì”. Spoto ha interpretato tale frase come un riferimento al pagamento degli avvocati, ma ha ammesso che la fretta imposta da Venditti potrebbe aver causato errori nelle trascrizioni.

A Spoto è stato anche chiesto se sapesse perché Sapone avesse parlato con Andrea Sempio prima della notifica dell’invito a comparire. La risposta è stata negativa. Ha inoltre confermato che durante l’operazione di piazzamento delle cimici sull’auto dei Sempio erano presenti un tecnico e il maresciallo Scoppetta (poi condannato nel processo Clean2).

Spoto ha raccontato che, mentre si preparava la notifica, gli fu chiesto di "far perdere tempo a Sempio" per consentire l'installazione nascosta delle microspie. Ma su questo punto emerge una discrepanza temporale: per Spoto, la cimice fu installata nel pomeriggio dell’8 febbraio 2017; per gli inquirenti, le intercettazioni erano già partite alle 01:35 dello stesso giorno, quindi molte ore prima.

La consulenza di Garofano e i soldi in contanti

Altro elemento centrale dell’inchiesta riguarda la tempestiva consulenza dell’ex comandante del RIS, Luciano Garofano, alla famiglia Sempio, prima ancora della notifica ufficiale dell’invito a comparire. Il padre, Giuseppe Sempio, ha raccontato agli investigatori che: “Quando andammo dagli avvocati, ci parlarono del genetista Linarello e del fatto che aveva tirato in ballo il DNA di mio figlio. L’avvocato Lovati ci consigliò di rivolgerci a Garofano.”

Garofano, in una relazione datata 27 gennaio 2017, fornì una valutazione del materiale genetico disponibile, basandosi su documenti della difesa Stasi. Questa relazione, però, non venne mai depositata nel procedimento, anche perché la posizione di Andrea Sempio fu archiviata poco dopo. Gli inquirenti ora vogliono sentire Garofano per chiarire come abbia ottenuto tali documenti, ancora non depositati formalmente all’epoca.

La versione della madre di Sempio

La madre, Daniela Ferrari, ha confermato che già il 23 dicembre 2016 in TV si parlava del DNA di Andrea sotto le unghie di Chiara Poggi. Dopo l’incontro con i legali, il 30 dicembre la famiglia incontrò Garofano. Agli inquirenti che chiedevano che tipo di consulenza potesse offrire Garofano senza l’accesso agli atti, la donna ha risposto che gli avvocati richiesero soldi per “ottenere le carte”. Ha spiegato che i soldi in contanti, raccolti grazie a prestiti da alcune zie, furono consegnati agli avvocati. Le zie, a verbale, hanno dichiarato di non conoscere la vera finalità del prestito. La madre ha aggiunto: “Mio marito e mio figlio andavano dagli avvocati e, al ritorno, dicevano che servivano soldi per avere le carte.” Secondo il padre, la somma complessivamente sborsata ammontava a 55.000 o 60.000 euro in contanti.

LEGGI LE NOTIZIE NEWS