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Cronache
Facebook, Cassazione: può andare in galera chi crea falso profilo

Con i social non si scherza. Ormai è evidente che sono un'arma a tutti gli effetti, per alcuni di distruzione di massa o meglio di distruzione del cervello delle masse, per altri di espansione dell’io.

Il 6 luglio scorso la Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso di una persona condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di 2 mesi e 15 giorni di reclusione per i reati descritti dagli articoli 595 e 494 del codice penale, cioè per avere offeso la reputazione di una donna attraverso internet, “creando falsi profili Facebook rappresentati da foto caricaturali della stessa, e inviandole insulti mediante messaggi, così attribuendo un falso nome”.

 

Il fatto e i tribunali intervenuti sono di Messina. In più al condannato la Cassazione chiede il pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in 3.000 euro.

La storia in breve: un soggetto, che poi diventerà l’imputato, crea dei falsi profili Facebook di una donna rappresentati da foto caricaturali della stessa, e inviandole insulti mediante messaggi. Chi riceve ritiene che quelle parole siano diffamatorie e passa alle vie legali. Il soggetto perde in primo e secondo grado.

 

Ma l'imputato ricorre in Cassazione contestando il contenuto offensivo dei messaggi, fatti in una lingua che non è l’italiano: secondo lui l'interprete non avrebbe in realtà dimostrato il tenore offensivo degli stessi. E per l’imputato il reato di sostituzione di persona non esisterebbe perché è stata utilizzata un'immagine caricaturale differente da quella reale della persona.

 

Ma qui arriviamo al nocciolo. Per la Cassazione che considera anche inammissibile il ricorso perché mirante ad avere una valutazione nel merito e invece la Corte si esprime solo tecnicamente per i vizi della motivazione (mancanza, insufficienza o contraddizione) o per scorretta "osservanza e l'uniforme interpretazione della legge”, sostituire l’identità di una persona sui social network è reato.

 

La Cassazione scrive che anche che è "pacifico che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata”. In più “il reato di sostituzione di persona è integrato da colui che crea ed utilizza un profilo su social network, utilizzando abusivamente l'immagine di una persona del tutto inconsapevole, trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza”. E ancora che “la condotta di colui che crea ed utilizza un ‘profilo’ su social network, utilizzando abusivamente l'immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un ‘nickname’ di fantasia ed a caratteristiche personali negative, e la descrizione di un profilo poco lusinghiero sul ‘social network’ evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente nell'agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente utilizzata l'immagine”.

 

Per la Suprema Corte questo tipo di comportamento corrisponderebbe al reato di sostituzione di persona. Ovviamente, per commetterlo non è sufficiente aprire un profilo falso su un social network, ma è necessario anche che ciò avvenga allo scopo di procurare un danno ad altri o un profitto a sé (o a terzi). Si è stimato che un profilo social su 3 sarebbe finto.

 

In sostanza non sposta molto che per commettere il reato sia stata utilizzata un'immagine caricaturale della persona offesa. Conta invece che la sostituzione fatta dall’imputato vi sia, sia stata accertata, che questi abbia sostituito una persona, attraverso la creazione e il successivo utilizzo di un falso profilo Facebook e che vi sia stato il danno. Per questo conferma la condanna a 2 mesi e 15 giorni di reclusione, anche se la pena è sospesa.

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