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Cronache
Luca Palamara, "il cattivo". Ma in quanti gli hanno tenuto il sacco?

(Prima di leggere il mio commento consiglio di leggere questo articolo dell’Ansa)

 

Palamara ha una faccia inquietante. Palamara è antipatico. Palamara è di sinistra. Palamara ha capeggiato il sistema delle cosche che in magistratura si spartivano il potere di dispensare trasferimenti, nomine, incarichi e successo in carriera. Ma Luca Palamara non è peggiore di altri ed ha perfettamente ragione in tutto ciò che dice. Se a qualcuno il mondo che lui descrive non piace, perché non è intervenuto prima? Se prima ha fatto finta di non sapere, se prima ha dato l’impressione di poter tollerare l’andazzo (col fondato sospetto che tollerasse ciò che personalmente gli era favorevole), con quale faccia oggi osa rigettare tutta la colpa sul solo Palamara? Che quello fosse il sistema lo sapevo anch’io, che non sono magistrato, che non vivo a Roma, e non ho amici in alto loco. Mi si vuol dire che non lo sapevano quelli che oggi si ergono a suoi giudici?

Io non trovo tanto grave che ci sia un capo della mafia, trovo grave che lo Stato abbia un così scadente controllo del territorio che permetta alla mafia di esistere. Non è il capo che crea la mafia, è la mafia che crea il suo capo. E infatti, anche se questo capo muore o viene ucciso, se ne nomina subito un altro. Dunque non bisogna espellere Palamara, bisogna cambiare il sistema. E se bisogna punire qualcuno non si deve punire il solo Palamara, ma anche coloro che gli hanno tenuto il sacco. E sono decine, forse centinaia. Ecco perché l’espulsione di cui dà notizia l’articolo dell’Ansa – comme disse Talleyrand dell’assassinio del duc d’Enghien – è “più che un crimine, un errore”.

Se tutti si fossero sbracciati a dire che quel sistema fa schifo e che bisogna cambiarlo. E non liberarsi soltanto dell’attuale capo dell’Anm, si sarebbe pensato ad un lodevole cambio di rotta. Se invece si vuole gettare la croce soltanto su uno, diviene naturale che questo singolo dica: “Se devo andare a fondo, non ci andrò da solo”. Ed ecco perché Talleyrand avrebbe parlato di errore. Perché coloro che dovrebbero condannarlo non sono innocenti e, se lui si mette a parlare saranno molti ad avere più caldo di quanto ne giustifichi questo inizio di estate.

La cosa più scandalosa, in questo momento, è che alcuni rappresentanti di questa magistratura credano di poterla dare a bere agli italiani. Ci giudicano talmente stupidi da credere che il marcio aveva un solo nome e cognome, Luca Palamara, e che basti prendersela con lui. Eh no. Quell’uomo sarà brutto, di sinistra, e perfino senza scrupoli, ma era uno di voi, era il vostro capo, e voi bussavate alla sua porta. Perché sapevate che diversamente non avreste fatto carriera. Come non l’hanno fatta tanti eccellenti giuristi, vostri colleghi, allergici alle correnti e alla politica nella magistratura.

In un caso come questo quasi mi vergogno di essere italiano. La nostra tendenza a dire: “Chi, io?”, la nostra tendenza a gettare il sasso e nascondere la mano, la nostra tendenza a tradire amici e sodali, è eccessiva. Mussolini osa dichiarare guerra alla Francia, alleata in guerra solo ventidue anni prima, perché pensa che sia già militarmente battuta. L’Italia si allea con la Germania perché la vede vincente, e quando questa è perdente, non soltanto l’abbandona, ma crea la leggenda di avere combattuto a favore degli Alleati e contro di essa. “Chi, io?” Ma già, dopo essere stata fascista con percentuali altissime che comprendevano una miriade di intellettuali come Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca, gli italiani non soltanto hanno rinnegato il fascismo, ma hanno sostenuto di non averne mai fatto parte. Anzi, di non averne nemmeno sentito parlare. Siamo passati da quaranta milioni di fascisti felici di vedersi vincenti a quaranta milioni di antifascisti pieni di rancore per quei quaranta milioni di fascisti, nel frattempo spariti chissà dove.

Il tempo per il nostro povero Paese non passa mai, se perfino quei diecimila cittadini scarsi che formano la magistratura, una delle parti più colte e oneste del nostro Paese, sembrano non saper sfuggire alla nostra maledizione. Alla nostra incapacità di essere leali e di affrontare a viso aperto le nostre responsabilità.

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