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Quando il sospetto non trova riscontri
Il monito del Papa e il paradosso Striano: quando il sospetto non trova conferme

Il commento
Il Papa ha scelto parole nette ma misurate. Davanti ai vertici dell’intelligence ha richiamato tutti al rispetto delle regole, invitando a non sconfinare mai nello spionaggio di giornalisti e politici. Un passaggio che, senza nominarlo direttamente, ha evocato il caso Striano, diventato l’emblema di un sistema di controlli e accessi che ha mostrato falle profonde.
Il messaggio di Papa Leone è chiaro: l’informazione è potere e il potere, se usato male, corrode la democrazia. Fin qui, nulla da eccepire. Ma se si scende dal piano morale a quello dei fatti, il quadro che emerge dall’inchiesta racconta una storia più complessa – e per certi versi controintuitiva.
Perché nel grande calderone del caso Striano, a finire sotto la lente sono stati in molti. Procure, apparati investigativi, la Guardia di Finanza, singoli appartenenti ai Carabinieri. Un pezzo consistente dello Stato amministrativo e giudiziario è stato chiamato a rispondere di accessi indebiti, verifiche opache, utilizzi disinvolti delle banche dati.
Quasi tutti, tranne uno degli attori che più spesso, per riflesso automatico, vengono tirati in ballo in vicende di questo tipo: i servizi segreti.
È un dettaglio che merita attenzione. I vertici dell’intelligence italiana, inizialmente additati come possibile snodo della rete, sono risultati estranei ai fatti. Nessun collegamento con la Direzione Nazionale Antimafia, nessuna catena di responsabilità che riconduca ai circuiti dell’informazione riservata. Un’assenza che pesa, soprattutto in un Paese abituato a vedere nei servizi il convitato di pietra di ogni scandalo.
In questo contesto va letta anche la denuncia pubblica di Guido Crosetto, che aveva parlato di accessi sospetti a suo carico. Un allarme che ha contribuito ad accendere i riflettori sull’intera vicenda, ma che lo stesso ministro ha poi ricondotto a un errore di valutazione, chiarendo che non vi erano elementi per chiamare in causa l’intelligence. Un passo indietro che ha ulteriormente ristretto il campo delle responsabilità.
Il paradosso, allora, è evidente. Il monito del Papa colpisce un rischio reale e sempre attuale, ma non lo si strumentalizzi per alimentare un sospetto generalizzato che, in questo caso specifico, non trova riscontri. I fatti dicono che il problema non era nei servizi, bensì altrove: in un uso disinvolto degli strumenti di controllo all’interno di apparati ordinari dello Stato.
Eppure, mentre l’inchiesta chiarisce ciò che non è accaduto, resta spesso sullo sfondo ciò che invece è accaduto davvero. Negli ultimi anni l’intelligence italiana ha messo a segno operazioni cruciali: dal contrasto alle minacce terroristiche alla difesa degli interessi strategici nazionali, fino alla prevenzione di attacchi ibridi in un contesto internazionale sempre più instabile. Risultati silenziosi, che raramente finiscono in prima pagina ma che spiegano perché, proprio questa volta, il sospetto non ha trovato conferme.
Il caso Striano, in definitiva, offre una lezione doppia. Da un lato ricorda la necessità di regole ferree e controlli rigorosi sull’uso delle informazioni. Dall’altro impone di distinguere tra responsabilità accertate e narrazioni automatiche. Perché se è giusto vigilare su tutti, è altrettanto doveroso riconoscere quando un’istituzione, pur sotto accusa preventiva, risulta estranea ai fatti. E anche questo, in democrazia, dovrebbe fare notizia.
