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Cronache
Suicidi tra le forze dell'ordine: una strage che non preoccupa il legislatore

Quello dei suicidi tra le nostre Forze dell’Ordine dalla Polizia ai Carabinieri, dalla Guardia di Finanza alla Penitenziaria fino alla Polizia locale è e resta un fenomeno silenzioso che di anno in anno continua a mietere molte vittime. Gli ultimi casi risalgono a solo qualche giorno fa. Alla Marina Militare di Brindisi, un militare di soli 21 anni si è tolto la vita sparandosi un colpo con la pistola di ordinanza a bordo del pattugliatore costiere su cui stava lavorando. A Binasco, un piccolo comune in periferia di Milano è stato invece un carabiniere a suicidarsi, sempre sparandosi con la sua pistola di ordinanza nella stazione Carabinieri.

Questo militare è solo l’ultima “vittima” di una lunga serie. Una tragedia silenziosa, come racconta il libro Il buio sotto la divisa della giornalista Sara Lucaroni. Sono tante le storie raccolte in questo volume, c’è quella di Bruno Fortunato (il poliziotto della Polfer che arrestata brigatista Nadia Lioce) quella di Fedele Conti (capitano della Guardia di Finanza durante l’inchiesta sulla scalata Unipol BNL), quella di Daniela Da Col (ispettore della Municipale di Firenze) e c’è anche quella di Santino Tuzi, il brigadiere dell’Arma dei Carabinieri che con la sua testimonianza ha riaperto le indagini sul “delitto di Arce”, la morte di Serena Mollicone, il cui processo è appena iniziato a Cassino.

Morti misteriose, celate dal buio dell’omertà. Tra il 2001 e il 2020 i suicidi tra le Forze dell’Ordine hanno raggiunto la cifra di 891. Quasi 900 vite strappate per ragioni che troppo spesso restano sconosciute. Un dato preoccupante che diventa ancora più spaventoso se lo si mette a  confronto con i suicidi della popolazione generale. Secondo i dati raccolti da Silp (Il sindacato dei lavoratori di polizia) nella classe di età 25/64 anni si tolgono la vita 7 persone su 100.000. Quando si parla diArma dei Carabinieri, il tasso è 15,7 su 100.000. E non è tutto. Il tasso per la Guardia di Finanza è di 10 su 1000.000, mentre quello della Polizia di Stato è di 18,27 su 100.000. Ma il dato più preoccupante è quello che riguarda la Polizia Penitenziaria dove il tasso sale ad uno spaventoso 28,65 su 100.000. Numeri che devono far riflettere e spingere, chi ne ha il potere, a fare qualcosa di concreto per invertire questo trend negativo.

Durante il Fascismo, il suicidio era oscurato per non mettere in discussione il potere del Duce. L’Italia doveva essere un paese felice e ognuno doveva fare la sua parte. In un certo senso viviamo ancora di questo retaggio storico. Nell’immaginario collettivo le Forze dell’Ordine non possono mostrarsi deboli. Spesso ci si scorda che dietro la divisa ci sono persone in carne ed ossa, e che oggi giorno mettono a repentaglio la loro vita per proteggere il loro Paese.

Se penso a quei soldati italiani, tornati in Italia dopo aver difeso per anni la libertà in Afghanistan nel silenzio delle istituzioni, provo solo rabbia e delusione. In quel paese sono morti 55 uomini e 753 sono stati feriti e nessuno è stato lì ad accogliere nel momento in cui sono tornati in patria. Rispettiamo o no la divisa che questi uomini indossano ogni giorno? Ma soprattutto, rispettiamo gli uomini oltre la divisa, oltre la retorica?

Basterebbe poco, a mio avviso, per poter mettere in campo soluzioni concrete che possano realmente aiutare e sostenere psicologicamente i militari e i civili che indossano una divisa ad affrontare e risolvere i problemi che durante il loro percorso lavorativo si possono trovare a vivere e tutto questo senza arrivare a sospenderli dal servizio come purtroppo spesso accade. In alcune caserme sono stati istituiti dei centri di ascolto a disposizione di coloro che ritengano di avere qualche disagio psicologico. I legislatori però non si sono mai posti il problema che i cittadini in divisa possano aver paura ad aprirsi totalmente, a confidare tutte le problematiche che li affliggono perché temono la sospensione dal servizio attivo e la conseguente decurtazione dello stipendio. Credo sia semplice comprendere che un militare o un poliziotto, che vive onestamente del proprio lavoro e che con quello stipendio da fame che percepisce fa fatica a mantenersi e mantenere la propria famiglia, non vorrebbe di certo vedersi sospeso dal servizio e di conseguenza vedere quel suo già misero stipendio ancor più diminuito solo perché ha confidato i propri problemi e le proprie ansie a uno psicologo messo a disposizione dalle amministrazioni dove presta servizio.

Sono diversi i fattori che possono portare al suicidio. Lo stress, la frustrazione, i problemi familiari, l’esposizione e l’assorbimento delle problematiche e delle contraddizioni sociali del loro ambiente; intime lacerazioni che vengono spesso risolte con l’arma d’ordinanza (l’88% dei casi) e ne sono talvolta vittime anche i familiari. 

Io sono Andrea Pasini, un giovane imprenditore di Trezzano Sul Naviglio, un paese in provincia di Milano, e fin da piccolo nutro una vera e propria passione per la divisa. Provo una profonda stima e un sincero sentimento d’affetto verso tutte le donne e gli uomini che servono onestamente il nostro Stato, indossando con orgoglio uno dei simboli più preziosi del nostro Paese: la divisa. Ho molti amici all’interno delle Forze dell’Ordine. Persone di qualsiasi grado, dal Carabiniere semplice al Generale, dal poliziotto al Questore, e mi trovo molto spesso a parlare con loro, a raccogliere i loro sfoghi e a congratularmi con loro per il duro lavoro che svolgono quotidianamente. I temi sui quali più spesso ci troviamo a confrontarci e sui quali sopratutto i sottufficiali mi sottolineano come molto sensibili per la loro vita professionale e che di conseguenza li tocchi psicologicamente  sono i seguente. I momenti che scandiscono la vita di ciascun militare e che incidono sulla personale realizzazione professionale e di conseguenza sul benessere personale e familiare sono quattro : i trasferimenti di sede, i giudizi annuali caratteristici, le sanzioni disciplinari e le benemerenze di servizio. È un tema che dovrebbe farci seriamente riflettere e sopratutto far riflettere i vertici di tutte le istituzioni delle Forze dell’Ordine ed il legislatore. Questi sono temi che possono destabilizzare la serenità psicologica di un militare sia in meglio ma sopratutto in peggio. Bisogna infatti sottolineare e rendersi conto che  in ciascuno di questi momenti la volontà del superiore costituisce e sostituisce il principio di legalità.

Cioè, in ognuno di questi momenti la volontà del superiore è legge. È legge in quanto, ad oggi, il sistema non è regolamentato e si trova  in totale assenza di regole chiare e, soprattutto, uguali per tutti. È importante dunque partire dal principio di legalità  che non è altro che il perimetro del potere: cioè, la legge. Un potere che non sia delimitato dalla legge è incompatibile in uno Stato di diritto ed è potenzialmente esposto all'arbitrio. Molte volte, infatti, le decisioni prese dai superiori su valutazioni non regolamentate ma personali provocano a un militare o a un civile che indossa una divisa uno stato di depressione, rancore e delusione e di conseguenza tutto questo porta a una destabilizzazione psicologica. 

Il fenomeno dei suicidi degli appartenenti alle forze dell’Ordine è allarmante e andrebbe urgentemente approfondito. Premetto che i cittadini prima di essere assunti nelle forze armate e di polizia vengono sottoposti ad approfondite analisi psichiche il cui superamento non è alla portata di tutti. Questo a dimostrazione che i problemi psichici, che spesso portano all’estremo gesto, non erano presenti prima dell’arruolamento. Pertanto, c’è da considerare il fatto che potrebbe essere proprio l’ambiente lavorativo nel quale vivono e operano a incidere negativamente sull'equilibrio psichico dei cittadini in divisa.

C’è da sottolineare che l'Amministrazione della Difesa e dell’ Interno sono  vicini in  modi se pur diversi alle esigenze del personale militare e civile, ma entrambi partono sempre dal presupposto che i motivi del disagio siano riconducibili esclusivamente a meri problemi personali e familiari. E questo è profondamente errato. 

Una certa corrente di pensiero sostiene, infatti, che le motivazioni alla base dei suicidi siano tutte riconducibili a fattori che possiamo definire, usando un termine improprio ma significativo, fisiologici; cioè sarebbero riconducibili allo stress connesso al lavoro svolto (nel corso del quale si è spesso a contatto con la sofferenza e la morte) e, soprattutto, a problemi di natura personale e familiare (una separazione, una malattia incurabile, un lutto improvviso). La disponibilità di un'arma da fuoco trasforma poi il disagio in tragedia.

Tuttavia, l'incidenza di questi fattori, che è certamente preponderante sul fenomeno dei suicidi militari, da sola non basta a spiegare tutti gli «eventi suicidari» (così vengono ufficialmente definiti). Anche gli infermieri e, in generale, tutto il personale ospedaliero ed esempio sono a contatto quotidianamente con la sofferenza e la morte. Eppure nelle corsie degli ospedali il fenomeno suicidario non è così diffuso.

Diversi studi, condotti all’estero, hanno reso evidente che è frequente il suicidio nelle Istituzioni caratterizzate da peculiarità come un elevato grado di controllo sul personale, un basso grado di autonomia decisionale e un basso grado di libertà di movimento. Istituzioni di questo tipo sono le istituzioni militari o militarizzate. Ma anche questa è una motivazione che, da sola, non può giustificare tutte queste  morti.

Bisognerebbe istituire con urgenza una Commissione parlamentare d’inchiesta che abbia libero accesso a tutti i fascicoli personali e ai fogli matricolari delle vittime di suicidi e di tutti i militari che dopo l’arruolamento presentano disagi psicologici per comprendere questo fenomeno. La percezione sgradevole è che lo Stato non protegga a sufficienza i suoi uomini addetti alla sicurezza e troppo spesso li abbandoni al proprio destino.

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