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Boom di violenza ed esposizione ai social: "Utenti del web mossi dalla voglia di visibilità e dalla necessità di stupire gli altri a tutti i costi"
Dilaga la violenza tra i giovanissimi: sempre più casi di cronaca monopolizzano le pagine dei giornali e i social media. L'analisi del professor Giorgino per comprendere l’amplificazione mediatica e il personal branding estremo

Cresce la violenza tra i giovani, l'intervista al professor Giorgino tra intrattenimento, informazione e marketing
In un'Italia travolta da episodi di violenza giovanile che monopolizzano cronache e social, emerge una domanda cruciale: i media stanno costruendo un "brand negativo" per un'intera generazione? Francesco Giorgino, giornalista professionista e direttore del Master in Comunicazione e Marketing politico e istituzionale della Luiss school of Government di Roma, analizza il meccanismo tra notiziabilità, algoritmi e ricerca di visibilità, rivelando come l'eccezione diventi regola nella percezione collettiva.
Negli ultimi mesi la cronaca sembra trasformare la violenza giovanile in una sorta di “fenomeno mediatico”. Professor Giorgino, quanto i media stanno contribuendo, magari inconsapevolmente, a costruire un “brand negativo” dei giovani italiani? E che effetto ha questa narrazione sulla percezione collettiva di un’intera generazione?
"Per rispondere alla sua domanda occorre partire dall’analisi dei processi di notiziabilità. Da sempre nella media culture il male fa più notizia del bene per una ragione molto semplice: si segnala nella sfera pubblica mediata, come la definisce Thompson, l’interruzione della linea retta della quotidianità, l’eccezione alla regola, l’anomalia rispetto alla normalità, che si dà per scontato essere frutto quasi sempre di condotte in conformità e non in deroga alle norme giuridiche. Segnalare ciò che non è regolare (nel senso di ciò che non è in “regola” con le convenzioni) contribuisce, di fatto, all’erogazione di sanzioni di tipo sociale, più che penali.
Il problema nasce soprattutto quando gli episodi si ripetono o da parte dello stesso soggetto o da parte di più soggetti contemporaneamente. E’ li che la media logic, fatta di atteggiamenti inconsapevoli ma anche consapevoli da parte dei mezzi di comunicazione (digitali e non), inizia a ricorrere a dinamiche di iper-generalizzazione, elevando gli episodi al centro dell’attenzione collettiva al rango di veri e propri fenomeni.
La distorsione più pericolosa di questa situazione è che si tende a tipizzare e ad archetipizzare comportamenti che, sebbene siano isolati e riconducibili alla volontà solo di un gruppo di persone, vengono resi paradigmi comuni a tanti. E’ ciò che accade quando tra l’ambiente simbolico e l’ambiente reale, come certifica la letteratura in materia di sociologia della comunicazione, il primo prevale sul secondo e quando la percezione della realtà ha la meglio sulla sua rappresentazione o autorappresentazione.
I giovani italiani, per fortuna, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono associabili a condotte negative, violente, irrispettose delle leggi (anche) naturali di una comunità. Il problema, perciò, è che molto spesso queste, i vizi e la violenza fanno più notizia delle virtù e della non violenza, come per esempio l’impegno nella formazione, nel rendimento lavorativo, nel volontariato e nel compimento di tutti quei progetti finalizzati a celebrare il valore della persona (io sociale) più che dell’individuo".
Nella competizione per l’attenzione, molte testate e profili social amplificano questi episodi fino a renderli intrattenimento. Quali meccanismi narrativi, o algoritmici, stanno trasformando la violenza in “contenuto”? E quali rischi corre una società che consuma queste devianze come fossero spettacolo?
"C’è un’equazione che governa la complessità dell’ecosistema comunicativo, a maggior ragione quando esso è a forte trazione digitale e, quindi, quando esso risente della presenza di logiche orizzontali più che verticali. L’equazione a cui mi riferisco è “attenzione=consumo”. Più è diffusa e più è alta l’attenzione del pubblico rispetto ai contenuti, specie quelli che vengono veicolati sulle piattaforme talvolta con intenti virali, più c’è consumo di senso/significati e di conseguenza anche di consumo commerciale. Il tema della tendenza ad intrattenere più che ad informare è spiegabile sia con questa premessa, sia con le numerose forme di contaminazione tra generi esistenti nella produzione mediale.
Poniamoci il problema di individuare il vero obiettivo dell’interlocuzione del pubblico con un contenuto e con un contenitore frutto di ibridazione funzionale: vogliamo generare un effetto cognitivo ed emozionale insieme o solo uno emozionale? Se l’obiettivo della comunicazione è la suggestione o addirittura la seduzione del pubblico, allora è chiaro che non basta una rappresentazione della realtà che si limiti a favorire la presa d’atto di quello che sta accadendo, sia pur attraverso il coinvolgimento più diretto del pubblico. E’ più facile alterare la percezione della realtà quando si gioca sull’eliminazione, quasi definitiva, delle barriere esistenti tra informazione e intrattenimento".
Sempre più spesso, gli stessi ragazzi condividono o mettono in scena atti di violenza online. È un modo per costruirsi visibilità, un “auto-branding” estremo, oppure è il risultato di un sistema che premia l’esposizione e chi compie questi gesti?
"Spesso la costruzione e la gestione dei processi di personal branding avvengono attraverso il ricorso all’estremizzazione. Da questo punto di vista il marketing non è poi così dissimile dal newsmaking: ricerca la singolarità per sovraesporla e per massimizzarne i risultati.
Ci sono utenti delle piattaforme social che farebbero qualsiasi cosa pur di ricevere una valanga di like e di condivisioni ai loro post o reel. Non è tanto un bisogno di approvazione sociale a muovere il meccanismo infernale (talvolta tragico) che qui si sta raccontando, quanto la voglia di visibilità, la determinazione fino all’assurdo a diventare tecnicamente una celebrity. Non importa se ciò accade adoperando la leva del bene e del male. Quello che conta è finire al centro dell’attenzione mediale, far parlare di sé, far discutere. La logica dell’esistenza in assenza di regole e di remore, dell’off limits è in linea con la necessità di stupire gli altri a tutti i costi. Se qualcuno poi entra in competizione, allora l’asticella dell’illecito viene innalzata ancora di più.
L’aspetto su cui dovremmo prestare più attenzione è, perciò, quello della consapevolezza errata da parte dei giovani della reversibilità di molte scelte da loro compiute, singolarmente o in gruppo. Quello che loro non sanno, infatti, è che specie nell’era dei social quelle scelte sono invece irreversibili, lasciando tracce indelebili".
