In morte di un'amica lontana - Affaritaliani.it

Culture

In morte di un'amica lontana

una casa romana racconta
 

Qui di fianco un estratto da "Una casa romana racconta" (Bompiani), nuovo libro di Giampiero Mughini. I DETTAGLI QUI
 

In morte di un'amica lontana

Ai primi giorni di ottobre del 2013, mentre già stavo correggendo le bozze di questo libro, un'amica mi ha telefonato a darmi la notizia dolorosissima della morte di Maria Giulia Minetti, che noi tutti chiamavamo "Gella". Di un paio d'anni più giovane di me, l'avevo conosciuta nella debuttante redazione del settimanale Europeo, quello che Mario Pirani aveva preso a dirigere nell'aprile del 1979. E seppure lei fosse alle prime armi del giornalismo di professione, subito fu tra quanti il giornale lo facevano e lo facevano fare. Da caposervizio dello "spettacolo" ebbe tra i suoi collaboratori principianti un Roberto D'Agostino che non ne poteva più di sedere allo sportello di una banca, e al quale Gella faceva terribili sfuriate per avere sbagliato "attacco" di un qualche pezzo che lei poi riaggiustava a man bassa.

Spigolosa, intelligente, colta, elegante in ogni dettaglio del suo esserci, sovraccarica degli umori della sinistra la più chic del tempo, per due o tre anni Gella è stata una delle amiche che più frequentavo, che più avevo voglia di frequentare. Le cene, i film, le tante chiacchiere sui tanti libri, la camaraderie. Una sera che tornavamo da un cinema e la stavo riaccompagnando a un taxi, le misi la mano sulla spalla non a sorreggerla — che di questo mai e poi mai Gella avrebbe avuto bisogno —, ma come a marcare la nostra amicizia: un ricordo che mi è come schioccato in mente nel momento in cui mi dicevano al telefono che lei non c'era più. Di una generazione femminile che amava essere invitata a cena e molto meno invitare e cucinare, Gella era tuttavia spettacolosa nell'arte culinaria. Mi pare avesse imparato da una madre che aveva scritto dei libri sull'argomento. Una sera che in tre o quattro rientrammo la sera a casa mia stanchi, poveri e affamati, lei irruppe nella mia cucina da singolo, acciuffò qualche resto, un tozzo di pane duro, fece brillare dell'aglio su una padella e riuscì a mettere in tavola una pietanza cui facemmo onore. Quando mi hanno telefonato la notizia della sua morte, Gella non la vedevo più da 25 anni. Nella primavera del 1987, quando era appena uscito da Mondadori il mio Compagni, addio, qualcuno dei nostri comuni amici mi riferì che lei aveva deciso di togliere il saluto al lebbroso che aveva scritto un siffatto libraccio. La anticipai sul tempo, e appena la incontrai le dissi che ero io a toglierle il saluto. Sono uno che quando le cose le dice, le fa.

All'Europeo, dove Lamberto Sechi aveva preso il posto di Pirani, e più tardi Claudio Rinaldi avrebbe preso il posto di Sechi, eravamo una redazione di molti trentenni e pochi quarantenni. Le giornaliste erano numerose e tutte belle e affascinanti. Gella, Letizia Maraini, Fiamma Nirenstein, Ludovica Ripa di Meana, Manuela Grassi, Laura Ballio. Le più giovani erano Lauretta Colonnelli e Barbara Palombelli. In quel giornale eravamo un po' una famiglia e una squadra, l'unica volta che mi sia capitato in quarant'anni di professione. Una professione che aveva aspetti lunari se paragonata all'oggi. Succedeva, ad esempio, che quando scrivevi un pezzo a "passarlo" fosse il vicedirettore Toni Pinna. Significa che Toni controllava la positura esatta di ogni virgola, l'esattezza di ogni nome di battesimo o titolo di libro, che ciascun aggettivo fosse acconcio e indispensabile. Ogni nostro articolo era come se subisse un paio di giri di lavatrice che completamente lo nettavano. Toni era eccezionale in quel suo lavoro, non come nei giornali di adesso dove appaiono scempi orripilanti, nove volte su dieci "un'amore" scritto con tanto di apostrofo. E del resto chi se ne accorge e quanti sanno che quell'apostrofo è un insulto alla lingua italiana? Toni Pinna l'ho visto l'ultima volta ai funerali di Rinaldi, di cui lui era stato per vent'anni il braccio destro. Abita vicino casa mia, ma non lo vedo mai.

Quando è morta Gella, è apparso sulla Repubblica un ricordo di noi tutti che le eravamo stati amici e colleghi. Nomi tutti che nel frattempo mi sono divenuti remoti, e io a loro remotissimo immagino. Era un altro millennio, un altro mestiere e nessuno di noi ha più trent'anni, e s'è fatta dannata la sproporzione tra l'entità dei ricordi e l'entità del presente che stiamo vivendo, anche se oggi più nessuno toglie il saluto a chi scrive un libro irriguardoso nei confronti della sinistra e delle sue sciccherie. Quel che invece è capitato a me, di essere marchiato da quel libro del 1987, dove avevo ragione dalla a alla zeta, più che se fossi stato condannato per una qualche frode fiscale.