Culture
Mauro Corona, l’alfabeto delle "Confessioni ultime"
Il libro - Pensieri e racconti di vita. Le "Confessioni ultime" di Mauro Corona sono il diario intimo di “un sognatore”. Un autoritratto che richiama in alcuni passaggi l’indimenticabile tradizione degli scritti morali, da Seneca al filosofo e samurai Jōchō Yamamoto, e si trasforma con impennate improvvise in un personalissimo sfogo sull’attualità e la politica. Suoni e basta, le parole hanno perso consistenza, volume, spessore, e con loro la vita. Le Confessioni prendono forma da queste parole ormai vuote. Libertà, silenzio, memoria, corpo, fatica, invidia, orgoglio, competizione, amore, amicizia, dolore, morte, Dio e la fede. Una rappresentazione laica profonda e illuminante: “Sono un grande peccatore, ma per tradizione e per educazione spero in Dio, e lo rispetto a modo mio. Spero in Dio, però non so più dov’è finito... Diceva Zvi Kolitz: ‘Caro Dio, io credo in te nonostante te’”.
Il videoreportage di Giorgio Fornoni - Le splendide musiche di Nick Cave e Warren Ellis, tratte dal film “The Assassination of Jesse James”, accompagnano Mauro Corona in un viaggio a Erto, “paese di crolli e di dolore”, cinquant’anni dopo la tragedia del Vajont. Dalla tana rifugio in cui vive e lavora ai luoghi della sua quotidianità, 44 minuti che raccontano in presa diretta uno tra gli scrittori italiani più letti e amati.

L'ALFABETO DI CORONA:
(per gentile concessione di Chiarelettere, Milano 2013)
Amore - La parola «amore» oggi significa «aspettarsi di essere amati»: tu mi devi amare, altrimenti ti ammazzo. In pochi mesi sono morte più di cento donne, pugnalate, sparate, assassinate, calpestate. Se così stanno le cose questa parola roboante non dirmela più, smettiamo di usarla perché questo non è amore. Non ho un vocabolario sull’amore, ho messo giù una definizione mia, amore vuol dire accettazione totale, donazione totale, silenzio.
Bosco - Dobbiamo insegnare ai ragazzini a coltivare il loro bosco interiore a non perdere il contatto con gli elementi. Questa dovrebbe essere la missione degli adulti.
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Corpo - Il corpo è come una montagna lo devi leggere, è un termometro. «Ogni nomade – diceva Brodskij – cavalca verso un tramonto», e noi siamo dei nomadi su questa terra. Allora cerchiamo di andare avanti gustandoci un po’ la vita, e per gustare un po’ la vita bisogna sentire cosa dice il corpo. Il corpo non è separato dal cervello, sono una cosa sola. E allora se il corpo ti dice: «Vai a fare una camminata » e la televisione ti dice: «Vai a fare un’intervista», fatti la camminata!
Democratura - Non viviamo in democrazia, bensì in una «democratura», un misto di democrazia e dittatura fuse insieme, come disse Predrag Matvejevi´c. Eppure questi politici, che hanno solo l’importanza che si danno e niente idee, si lavano spesso la bocca con la parola democrazia.
Erto - Erto vuol dire scosceso. Un paese è fatto della gente che vi abita, venite a Erto Vecchia, in questo paese di crolli e di dolore. Sono scappati tutti, uomini e animali. Restano i fantasmi. Erto non esiste più, noi nasciamo a Erto, ma l’ertano non esiste più, gli ertani erano uomini uniti, le case del paese vecchio erano legate come un grande rosario. Ci si passava una tazza di zucchero, la polenta, si facevano anche baruffe. La cucina era il fulcro dove decidevano la vita e la morte, lì nasceva la vita, o si spegneva. Non c’è più stato niente. Si nasce a Erto, ma non siamo più ertani.
Fragilità - La fragilità è un bene assoluto, vuol dire che c’è una ricettività maggiore, e questa ricettività dobbiamo assecondarla e farla maturare, farcela amica senza opporre resistenza, senza reagire con armi affilate. La fragilità è un dono dolcissimo, che rende umano l’uomo.
Gioia - Scrivere mi dà gioia, e io uso poco la parola gioia.
Ho - Ho scritto un libro su Erto, I fantasmi di pietra, un libro su questo paese che sta morendo, con un po’ di storia, una via ogni stagione. Perché non facciamo un percorso per i turisti che non sanno dove andare? Dalla piazza si parte con delle targhe che si susseguono, una chiama l’altra.
Inferno - Diceva Antonin Artaud: si scrive, si scolpisce, si fa musica per uscire di fatto dall’inferno. Io ho scolpito, ho scritto, ho arrampicato le montagne perché tutto questo mi aiutava a sopportare il male di vivere.
Libertà - La libertà è una parola difficile. Libertà di scrivere quello che si vuole senza finire dentro, come succede nelle dittature. Libertà è anche poter scegliere di fare una scalata invece di un’intervista. Ogni giorno con le nostre scelte in qualche modo limitiamo la nostra libertà
Morte - Siamo come i fiocchi di neve, tutti diversi, ma appena arriva un po’ di caldo ci sciogliamo tutti uguali e non esistiamo più. Perché siamo fragili, e questo è il nostro destino comune. Io ho paura della morte, certo, ma più che della morte in sé, che è ineluttabile, ho paura della sofferenza fisica. Bisogna migliorare la condizione della morte, non solo la condizione della vita.
Nichilismo - Abbiamo una responsabilità assoluta e purtroppo non lo capiamo come si deve. Non perché siamo cattivi, è che non crediamo più a nulla. C’è un nichilismo imperante ormai, e abbiamo perso l’entusiasmo del futuro. Un nichilismo che sento ovunque vado: «Vabbè – si dice – ma se la vita è questa me la gioco tutta».
Odio - L’odio così come L’avidità, l’orgoglio, l’invidia la competizione nascono dall’incapacità di accettare la propria fragilità. Cominciamo a fare un valore della fragilità, l’uomo deve imparare a raccontarsi, perché la fragilità uno la deve confessare.
Politica - la politica è un lavoro sporco dove si rifugiano molti falliti in cerca di soldi e notorietà.
Q - Le frasi belle le tengo in due quaderni come parole da mettere via. Questo è un libretto che forse me lo faccio stampare per me. Il Libretto della vita, frasi d’autore per non spararsi, ho scritto così sulla copertina. Ce n’è di ogni tipo. «Sii profondamente superficiale», Antonio Machado. E qui c’è Ezra Pound: «Rendi forti i vecchi sogni perché questo nostro vecchio mondo prenda coraggio », «La solitudine è la miglior cura per la vanità», Thomas Wolfe.
Racconto - Nelle Confessioni ultime vi racconto anche la cronaca della mia miseria.
Silenzio - Non mi piace il silenzio degli uomini, di quelli che non raccontano le loro vicissitudini, che non confessano il loro bisogno di aiuto. È proibito oggi chiedere aiuto. Chiediamoci aiuto!
Tracce - Siamo come volpi sulla neve fresca. Bisogna stare attenti, noi lasciamo delle tracce vivendo, nostro malgrado. Per questo dobbiamo stare attenti a non lasciare tracce che portino al burrone. Io ne ho lasciate parecchie negative. Cercherò di recuperare.
Uomo - L’uomo è un essere incompleto, ma il fatto di essere fragili non dobbiamo rifuggirlo come un difetto. La fragilità è tenerezza, sensibilità. Un uomo dovrebbe vantarsi di essere timido, invece gli altri te la fanno pagare.
Vajont - Il Vajont è materia delicata, da silenziare. Ora sono quasi cinquant’anni (il 9 ottobre), il Vajont non va dimenticato, ma nemmeno usato per notorietà e per visibilità personali. La memoria del Vajont va programmata, perché non si possono dimenticare questi duemila morti uccisi da cinici farabutti. E per salvare la memoria, bisogna proporre cose utili.
Zona - Andiamo a tirar giù dalla biblioteca il volume che riguarda questa zona e leggiamolo, dirà che lì non ci hanno mai costruito niente. Adesso ci hanno costruito. Dovessero tornare, e torneranno, le nevicate di un tempo, perché tutto è ciclico, quelle case lì verranno spazzate via, e poi si piangerà qualcosa e qualcuno. Se nei secoli dei secoli nessuno aveva costruito nulla lì, neanche un pollaio, un motivo c’era. Sapevamo ancora leggere la scrittura della montagna, della natura, del corpo.
L'APPUNTAMENTO: Il 4 maggio, alle ore 19, al Trento Film Festival, in programma un incontro con Mauro Corona, Giorgio Fornoni e Claudio Sabelli Fioretti.
LE VIDEO-PILLOLE (estratti dal dvd di Giorgio Fornoni che accompagna il libro):