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"Dopo l'attacco il tempo si è fermato: Israele non vuole il dialogo con Hamas"

di Marilena Dolce

Affari dialoga con la scrittrice e giornalista Manuela Dviri che vive a Tel Aviv. Dalle origini dell'attacco agli scenari futuri del conflitto: il punto

Guerra Israele, dopo l’attacco di Hamas il tempo si è fermato: dialogo con la scrittrice e giornalista Manuela Dviri

Hamas attacca Israele il 7 ottobre con l’operazione al Aqsa, diluvio. Ora la risposta di Israele è l’invasione via terra del nord di Gaza. Un milione di palestinesi perciò devono spostarsi verso sud. Secondo l’Onu ad oggi hanno lasciato le proprie case circa 423.000 persone. Nell’area, in un tempo brevissimo, non dovranno più esserci civili. È da lì infatti che Hamas, gruppo estremista palestinese, definito terrorista da Israele ma anche da Stati Uniti e Unione Europea, lancia gli attacchi verso Israele che sta schierando fanteria e carrarmati, pronto alla guerra.

Parliamo della guerra in corso con la scrittrice e giornalista Manuela Dviri che vive a Tel Aviv.  E ora cosa succederà? Dopo sabato 7 ottobre, a distanza di una settimana dall’attacco, la domanda resta cruciale. Così è la prima che faccio a Manuela Dviri, che mi risponde al telefono da Tel Aviv. “Non c’è ancora nessun dopo. Siamo fermi a sabato. Stiamo cominciando lentamente a capire, a sapere, ma la domenica non è ancora arrivata. A Tel Aviv la vita è sospesa. Chi può resta a casa, bar, caffè, ristoranti sono chiusi. Le giornate sono scandite dal suono delle sirene e ora anche dai funerali”.

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Mentre parliamo si sentono colpi distinti, il suono dell’Iron Dome, la “cupola di ferro” che entra in funzione quando la minaccia raggiunge le zone abitate. Ed è proprio lo scudo antimissili che è stato aggirato dai moltissimi razzi, più di 6.000, lanciati da Hamas dalla striscia di Gaza. Razzi che hanno illuminato il cielo di Israele sabato mattina alle sei e mezza. Con essi è andata persa la certezza del governo israeliano che la difesa missilistica avrebbe fermato qualsiasi tentativo di assalto da parte delle organizzazioni terroristiche.

Avrebbe dovuto essere un sabato abituale, scandito ancora una volta dalle proteste in piazza diventate per moltissimi israeliani un impegno costante per manifestare dissenso verso il governo di estrema destra del premier Benjamin Netanyahu. Un’ostilità politica contro la riforma della giustizia che avrebbe tolto indipendenza alla magistratura. Non solo. Altro punto critico del governo di “Bibi”, soprannome del premier, è stato l’appoggio ai coloni per l’occupazione di Territori in Cisgiordania. Tra il 1993 e il 1995 gli Accordi di Oslo avevano fatto un passo per la nascita di uno stato palestinese indipendente. L’area era stata divisa in tre zone, con l’Autorità Nazionale Palestinese che esercitava una certa sovranità su due di esse. Nel 1996 il primo governo Netanyahu ha fermato questo processo.

Mercoledì 11 si è formato un governo di emergenza composto oltre che da Benjamin Netanyahu, dal presidente del partito di Unità Nazionale Benny Gantz e da un altro ex capo di Stato maggiore. L’editoriale di Haaretz uscito il giorno successivo chiede al governo, dopo l’orrore di sabato, di prendere le distanze dall’ala estremista rappresentata da Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir “il cui nome”, scrive il giornale, “sarà impresso per sempre nella più grande catastrofe di Israele”. “Sull’accaduto si possono fare due riflessioni” spiega Manuela Dviri “la prima è che la maggiore preoccupazione del gruppo di estrema destra finora al governo siano sempre stati i coloni che vivono nei territori occupati in Cisgiordania. Gaza non era considerata un pericolo perché il governo israeliano era convinto di riuscire a tenerlo a bada girando loro ogni mese valigie di dollari provenienti dal Qatar. In teoria non avrebbero dovuto esserci problemi, e invece…”. Il secondo punto è la strategia di Hamas. Ovviamente per il momento sono supposizioni, però sembra che Hamas abbia preparato l’attacco riuscendo ad ingannare i servizi segreti israeliani lavorando solo con la carta, con i pizzini, esattamente come la mafia. Per comunicare non hanno usato telefoni cellulari, computer, satelliti. Niente che potesse essere intercettato.

Pochissimi erano al corrente del piano e della costruzione dei tunnel sotterranei che hanno consentito ai terroristi di fuggire rapidamente. Si stavano preparando da tempo. (ndr, Netanyahu ha detto da due anni). Hanno agito quando erano pronti ma è chiaro che si erano a lungo esercitati perché l’attacco è stato incredibilmente preciso”. Gli scenari dell’orrore causato da Hamas a Gaza sono l’attacco a Kfar Aza definito da Israele il peggior massacro degli ultimi 150 anni, al kibbutz di Be’eri, al rave dei ragazzi e a Nir Oz. Il conto delle vite perse è drammatico. Secondo fonti interne per gli israeliani sarebbero 1.300 i morti accertati e poco più di 3.000 i feriti. A loro vanno aggiunte le persone rapite e i dispersi, circa 120, tra cui donne, anziani, bambini e persino neonati, che aprono un altro tragico capitolo. Da parte palestinese i morti per la rappresaglia israeliana sarebbero, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, 2.300 e oltre 5.000 i feriti.

Ora Gaza, una striscia di 360 chilometri quadrati dove vivono circa 2 milioni e trecentomila palestinesi, è al buio, senza acqua, isolata, con il cibo che scarseggia. Questo per decisione del Ministero della Difesa israeliano che ha tagliato le forniture e gli approvvigionamenti. Tutti gli abitanti devono abbandonare la zona nord e spostarsi a sud. “Molti dei dispersi”, dice Manuela “sono i ragazzi del rave. Si pensa oltre 200. I miliziani hanno impedito la fuga accerchiandoli. Sono stati assaliti in un luogo aperto dove era impossibile nascondersi, cercare riparo. Mentre nelle case le persone hanno tentato di barricarsi, di non farli entrare, lì era impossibile. Penso con angoscia alle ragazze arrivate alla festa per divertirsi, che hanno subito di tutto, anche stupri. Che male stavano facendo, chiedo. Magari il sabato prima erano in piazza contro il governo. Molti nostri giovani hanno persino dimostrato per la causa palestinese”.

Tik Tok mostra l’arrivo in parapendio dei miliziani di Hamas che attaccano il party. In rete per la verità c’è anche il trailer di Hamas che posta se stesso in mimetica, parapendio e planata. Potrebbe essere lo spot di una bevanda frizzante se non fosse l’orrore della guerra. E sempre in rete ci sono i volti di chi fugge, di chi è rapito, di chi è riverso, abbandonato. Una cronaca agghiacciante che sbandiera il male nella sua crudezza. Senza filtri né verifiche. Bipartisan. Perché non manca l’orrore di Gaza bombardata dall’esercito israeliano, una città spettrale. Riferendosi a Kfar Aza il generale israeliano Ita Veruv ha detto di non aver mai visto niente di simile, “mi è venuto in mente Eisenhower quando entrò nei lager nazisti e vide i corpi ammassati”. La parola nazismo resta nell’aria. “I terroristi non devono passarla liscia” dice Manuela Dviri “Non possono trovare appoggio. Devono essere giudicati da un tribunale internazionale, come i nazisti”.

Guerra, la scrittrice e giornalista Manuela Dviri ad Affari: “Israele dopo una simile tragedia non può e non vuole dialogare con Hamas”

L’Europa è accanto a Israele e chiude le piazze alle manifestazioni pro Palestina. L’America anche e manda il segretario di Stato Antony Blinken e le portaerei. “il presidente Biden ha mandato le portaerei per il timore che Hezbollah (ndr, organizzazione islamista sciita libanese antisemita) attacchi al nord di Israele” dice Manuela. Nel frattempo l’Onu dichiara che a Gaza i civili devono essere protetti, che anche la guerra ha le sue regole, che non possono le persone diventare scudi. Ognuno parla una propria lingua ma il dialogo per il momento sembra tra sordi. “Israele dopo una simile tragedia non può e non vuole dialogare con Hamas”, dice Manuela. Le Forze di difesa israeliane scrivono sul proprio canale Telegram che a Gaza continuano i raid contro gli obiettivi di Hamas.

Le radici di questa guerra sono, in teoria, nella mai risolta questione palestinese, che ha aperto un varco al terrorismo, non una soluzione ma l’evidenza del problema stesso. “È l’attuale governo di Israele che ha provocato la ribellione”, sintetizza il giornalista Ugo Tramballi, alludendo al dialogo mancato. “I video sui social” dice Manuela Dviri “inneggiano il fanatismo di Hamas, dei terroristi. Gente che non ha scrupoli ad aver innescato una risposta israeliana, anzi la desidera e la cerca così come desidera la morte tra i civili di Gaza. Sono video che non vanno presi sotto gamba perché fanno proseliti. Per noi è difficile capire un mondo simile. Per i terroristi no. È il modo di pensare dell’Isis, (ndr, organizzazione islamica jihadista, attiva soprattutto tra l'Iraq e la Siria) che non è pensiero politico ma fanatismo religioso”. La guerra mostrata in rete sembra Fauda, caos, la serie israeliana sul conflitto israelo-palestinese. In realtà proprio la guerra ha interrotto le riprese della quinta stagione perché il protagonista e creatore della serie Netflix, è ora in missione a Gaza. Nella fiction era un militare dello Shin Bet, agenzia di intelligence per gli affari interni, mentre ora è stato richiamato dall’unità cui apparteneva. Accanto a lui il coautore, il giornalista Avi Issacharoff.

Intanto la popolazione di Israele sta affrontando unita il periodo di guerra che si prospetta lungo. “Sono stati chiamati tutti i riservisti che sono arrivati in massa” dice Manuela. In questi giorni inoltre stanno rientrando molti giovani israeliani all’estero per lavoro o studio decisi a combattere per Israele. “Sì. C’è un grande movimento nella società civile. La logistica per la mobilitazione della protesta antigovernativa nelle piazze si è mossa per prima ed è servita adesso per aiutare chi è scappato dalla zona confinante con Gaza, quella che ha subito la strage. Le persone sono state evacuate solo con quanto avevano indosso, lasciandosi alle spalle le case bruciate e tutto quello che avevano al mondo. Naftali Bennett, l’ex primo ministro, ha messo a disposizione alberghi affittati per dare un alloggio a chi poi dovrà trovare un posto dove vivere. Altri appartamenti e alberghi sono stati messi a disposizione dalla società civile perché quello da cui sono scappati sarà a lungo off limits”, conclude Manuela Dviri.