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Economia
Amadori, Klaus Davi: "Mai seguire l'istinto, il caso andava contenuto"

Amadori, la Dinasty del pollo: il massmediologo Klaus Davi ragiona con Affaritaliani.it sulla clamorosa crisi familiare 

Schierato in prima linea silla difesa del 'Made in Italy' insieme con Filippo Gallinella presidente della Commissione Agricoltura della camera dei deputati, Klaus Davi fa un'analisi con "Affari Italiani" della clamorosa crisi familiare che ha interessato il marchio Amadori (leggi qui tutta la vicenda) sulla scia delle più vivaci  fiction anni ottanta genere "Dallas". 

I fatti sono ormai noti Francesca Amadori, è stata licenziata per essersi rifiutata, secondo la versione uffficiale, di andare a lavorare. A renderlo noto un comunicato che la accusava sostanzialmente di non essersi più presentata al lavoro.

Klaus Davi con la sua agenzia cura l'immagine di marchi food di primissimo piano. A capo del movimento 'Io sto con il made in Italy' alle sue iniziativa hanno preso parte anche magistrati di altissimo livello come Gian Carlo Caselli massimo esperto italiano di Agromafie, Federico CafieroDe Raho e tanti altri.

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Tutto nasce dal licenziamento di  Francesca Amadori. Un licenziamento in tronco proprio la responsabile comunicazione. Che pensi di una azione tanto muscolare che ha ingenerato un simile effetto a cascata  Klaus?

Che dire. Oltre alla "corposità" dell'azione mi ha colpito la motivazione quasi  grillina con cui è stata argomentata "le regole valgono per tutti". Non solo l'atto in se ma anche la motivazione politica e istituzionale conseguenziale ha fatto notizia. Quando si sceglie di combinare tutti questi ingredienti è chiaro che la bomba esplode ma non è detto che sia un male.

Se ci sono stati errori quali sono stati?

Le crisi non sono gestibili a tavolino. La crisi prende una sua forma perché sintetizza la reputazione che chi la subisce  accumulata negli anni con investimenti in comunicazioni e pratiche aziendali,  sommata a quella prodotta dal "sentire comune" fattori  che a loro volta interagiscono con l'elemento conflittuale che tenta di impallare il meccanismo. In queste situazioni non è sempre facile  stabilire chi è il vincitore e chi la vittima.

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In questo caso la  Francesca Amadori ha puntato molto sul ruolo di  vittima?

Certo. Perché la presunta vittima in comunicazione esce sempre vincente. Nasce da un elemento culturalre antropologico legato alla cultura italiana secondo cui il piu debole è quello che subisce l'ingiustizia aziona meccanismi di identificazione collettiva. Basta leggere tre libri per rendersene conto. Ma non solo quelli di marketing o di diritto. Ci vuole una cultura a 360 gradi che coinvolga antropologia e sociologia.

Fare la voce grossa ha aiutato la azienda  Amadori?

Direi proprio di no. Non ci dimentichiamo che la (presunta) "vittima" è anche una ragazza. In un contesto pubblico condizionato  dalle regole della dialettica di genere non è proprio forse il codice più idoneo per affrontare un conflitto. Questo però è un giudizio dato da fuori, necessariamente epidermico. Ma non si può prescindere dal contesto culturale e politico in cui si opera. Ce lo hanno insegnato i Greci con le loro tragedie. 

In che senso politico?

La donna per definizione è vittima nell'immaginario collettivo, e non solo. Soprattutto se dialettizza con una dinamica molto maschilista come quello delle imprese. Non a caso la legislazione lo dice espressamente e ne tiene conto in sede giudiziaria, come ho poi verificato. Ma non sempre avvocati e consulenti hanno la cultura necessaria e la visione politica per tutelare le aziende, anche da esse stesse e dagli impeti peraltro legittimi... Altro fattore da non sottovalutare: le responsabili d'acquisto sono donne all'80%. Ma il potere delle aziende, generalmente dicono i dati Confindustria, è in mano agli uomini. E questo gioca un ruolo nella determinazione della reputazione delle imprese e di come vengono percepite.

Ma sembra che lei non andasse piu a lavorare, almeno questa e' sembrata l'accusa del management Amadori...

Affrontare con una visione prevalentemente formale questioni legati a rapporti familiari, di genere, con implicazioni sociali è tipico della visione culturalmente limitata degli avvocati. Ma qui la questione legale è l'ultimo dei problemi. Qui bisognava impedire la narrazione di un marchio che venisse assimilato alla presunta  prepotenza di chi gestisce il potere e alla scontata "muscolarità" maschilista. Che è quella che potrebbe scattare nella visione collettiva semplicisticamente.

Amadori come brand ne risentirà?

Molto dipenderà dall'evoluzione giudiziaria. Che è imprevedibile e non scontata soprattutto se proiettata nel contesto dei giudici del lavoro. Difficile fare previsioni. Non credo possa accadere qualcosa in campo distributivo o di vendite. Sul piano reputazionale bisognerà vedere. A mio avviso la strategia della contrapposizione non è quella giusta. Andava contenuta non amplificata. Ma non sempre è possibile e non sempre le aziende hanno responsabilità per come evolvono i fatti. L'ho premesso.

Dovranno rivedere i loro spot?

Sicuramente ora il mantra è rassicurare e non mostrare la faccia da duro. Non sempre chi ti aizza ti consiglia bene. A volte il consulente che ti frena e ti mette dei paletti è quello che ti vuole più bene. Dipende molto anche da elementi interni di cui nessuno di noi è a conoscenza.

Il tuo suggerimento?

Non farsi mai guidare dall'istinto in simili situazioni e tutto si risolve. I romagnoli sono molto "passionali" a volte travolgenti ed è comprensibile, ma in condizioni simili meglio a volta fare uno sforzo in più di "autocontenimento" nell'interesse di tutti. Non è escluso che accada. Parliamo di un Lovebrand internazionale che per anni ha puntato su valori come la bonomia e la "familiarità". Una precisa scelta di campo. Che deve guidare la strategia anche quando sono più difficili da declinare. Una strada faticosa, ma a mio avviso l'unica da intraprendere in contesti cosi complessi. Sono comunque  sicuro che ne usciranno alla grande.

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