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Economia
Auto elettrica, il Covid accelera la transizione. Milano 2030 solo con l'e-Car
Giuseppe Sala

Milano è pronta una volta di più a mostrare la sua anima europea e cosmopolita. Come? Permettendo l’accesso al centro (da verificare se questa definizione coincide anche con quella di Area C) soltanto ai veicoli alimentati a energia elettrica, a partire dal 2030. La notizia è vecchia, approvata dal Comune alla fine dell’anno scorso ma tornata di enorme attualità oggi che la pandemia ha costretto a rivedere drasticamente la mobilità urbana e che il rischio di “soffocare” si fa ogni giorno più concreto. Così, la scorsa settimana la giunta guidata da Giuseppe Sala ha dato il via libera al Piano Aria, un decreto che però ha un problema di fondo: al momento non è applicabile.

Perché si possa vietare l’accesso al centro della città con i veicoli termici, infatti, bisognerebbe chiedere al legislatore di introdurre una nuova norma che consenta ai comuni di anticipare di 20 anni la transizione energetica già avviata dal nostro Paese. Ma fatta la norma, trovato l’inghippo: se la giunta non può legiferare in materia di motorizzazioni accettabili o meno può invece introdurre ticket e super-ticket a piacimento. E quindi non sarebbe così strano vedere tra 10 anni applicare tariffe giornaliere magari a due cifre per tutti i veicoli che non siano elettrici. Il pagamento di un pedaggio quotidiano è però solo uno dei tanti problemi che affliggono la mobilità e che il Coronavirus ha ulteriormente reso di attualità. 

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Prima di tutto: il parco auto italiano è tra i più vecchi d’Europa, con un’età media di 12 anni. Al 31 dicembre dello scorso anno secondo Anfia su poco meno di 40 milioni di automobili circolanti, 22,5 milioni avevano più di 10 anni, ovvero il 57% del totale. A leggere i dati sulle immatricolazioni, che hanno registrato un calo del 30% anno su anno con meno di un milione di nuovi acquisti, è facile pensare che questa tendenza non sia stata minimamente scalfita. Non solo: il 15,6% delle auto (cioè 2,8 milioni) che circolano per le strade italiane è ancora Euro 0, cioè lontanissimo da qualsiasi requisito minimo di riduzione dell’impatto ambientale. Il 44,7% del totale, dunque, ha motorizzazioni comprese tra Euro 0 ed Euro 3. E i diesel, che sarebbero più nuovi e meno inquinanti (poco meno del 50% del complessivo dei veicoli a gasolio è Euro 5 o Euro 6) sono stati azzoppati da una normativa europea che ha indicato nel diesel il capo espiatorio di qualsiasi problema ambientale. Una baggianata che però ha cavalcato un’onda emotiva montante e che rischia di costare molti posti di lavoro.

Al 31 dicembre dello scorso anno, le vetture elettriche registrate in Italia erano 22.728, ovvero lo 0,05% del totale. Vero che a settembre il dato delle immatricolazioni è più che raddoppiato, ma stiamo ancora parlando di numeri molto piccoli. Le previsioni di crescita di Deloitte sono esponenziali: nel 2030, a livello mondiale, l’elettrico dovrebbe rappresentare il 32% del totale del venduto. Per il momento, solo la Norvegia sembrerebbe essere davvero “in bolla”, mentre da noi, se si sommano le full electric (Bev) con le hybrid (Phev) si arriva forse al 3% del complessivo. Ma poi un’auto ibrida è davvero ecologica? Se per fare più di 50 km deve comunque usare i sistemi termici tradizionali, dove starebbe la minimizzazione dell’impatto? Perché in città riesce a sfruttare il motore elettrico? Presto per dirlo, si vedrà.

Nel frattempo, però, qualcosa si muove: l’Italia sta puntando su questa nuova motorizzazione che Sergio Marchionne aveva (forse frettolosamente) bollato come inutile. Fca ha presentato la nuova 500 Bev al Lingotto. La sua realizzazione avverrà nel rinato stabilimento di Mirafiori, anche in questo caso con un’anima italiana. La linea che permette l’assemblaggio della scocca da dopo la verniciatura fino alla messa a terra è realizzata dalla Cpm di Massimo Bellezza, storica azienda dell’indotto Fiat che è riuscita ad “affrancarsi” dalla casa madre alla fine del secolo scorso grazie anche a una joint venture paritetica con i tedeschi di Dürr che pure avrebbero un fatturato tra le 15 e le 20 volte superiore all’azienda piemontese.

E Cpm ha capito che l’elettrico poteva diventare un interessante sviluppo per i suoi prodotti – cioè linee di produzione ad alta o altissima dose di automazione – tanto da aver poi rifornito vari brand di fascia alta come Lamborghini nello stabilimento di Sant’Agata Bolognese o Tesla, in un impianto californiano in cui l’uomo è stato “pensionato” dalla manodopera per trasformarsi in tecnico di alto livello.

Ma proprio il brand creato da Elon Musk, con il suo prezzo non esattamente abbordabile, mostra come il problema della transizione delle motorizzazioni possa diventare anche – se non soprattutto – una questione di costi. John Elkann ha garantito che la 500 Phev costerà circa 20mila euro di base, una cifra competitiva visto che attualmente il range di prezzo è tra i 22.450 della Renault Twingo elettrica e gli oltre 100mila della Tesla più avanzata. Per dire, alla fine del 2019 la spesa media degli italiani per una vettura nuova era calata del 4%, scendendo sotto i 22mila euro. In sostanza, o tutti si comprano la nuova 500 – cosa auspicata da Elkann e Stellantis, ovviamente – oppure la transizione si farà parecchio complicata.

Rimane dunque il nodo delle città che soffocano. In attesa di scoprire se ci saranno ulteriori restrizioni ai movimenti degli italiani, è innegabile che le possibilità “sicure” si siano ridotte di molto. Il car sharing è visto come potenziale veicolo di contagio nonostante le precauzioni e le continue sanificazioni. I mezzi pubblici iniziano a fare paura. Come arrivare al posto di lavoro evitando di inquinare? Si va verso l’inverno, biciclette e monopattini diventano complicati da utilizzare, rimane sostanzialmente il mezzo privato. Oppure soluzioni di mobilità condivisa come il carpooling aziendale, il quale è finora rimasto clamorosamente escluso da qualsiasi discorso del governo.

In California, dove il problema del traffico e dell’inquinamento era di clamorosa attualità, si è deciso di risolvere la cosa in modo draconiano: chi entra nelle metropoli (Los Angeles e San Francisco) da solo o con un’altra persona paga il pedaggio, chi si muove con almeno tre persone no. Di più: nelle highway che lambiscono le città, alcune corsie più sgombre sono riservate a chi fa carpooling, mentre le altre, trafficatissime, a chi ha scelto di muoversi da solo. In Italia il principale operatore si chiama Jojob e ha già pronto un protocollo da presentare alle aziende per far viaggiare in sicurezza i colleghi: equipaggio di massimo due persone, sedute una davanti ed una dietro e dotate di mascherina, con l’invito a sanificare con regolarità l’abitacolo e creare degli equipaggi fissi.

D’altronde, è naturale pensare che, in attesa di un necessario – e fisiologico – abbattimento dei prezzi delle auto elettriche, le aziende debbano per forza incentivare soluzioni di mobilità condivisa o alternativa per i propri dipendenti. Perché condividendo un’auto si evita infatti di sovraccaricare i mezzi pubblici e si abbassa il rischio contagio. Arval, azienda di noleggio a lungo termine del gruppo Bnp Paribas ha appena approvato il suo piano al 2025 in cui vuole che 500 mila veicoli elettrici facciano parte della flotta. Insomma, qualcosa si muove. Ma la strada è ancora lunga: basteranno 10 anni?

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