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Economia
Banco-Bpm, turbolenza sul vertice: serve una trincea nazionale
(Fonte immagine: Imagoeconomica) 

Banco Bpm, Credit Agricole e governo Meloni: tutte le "turbolenze". L'analisi 

Le sensibili antenne dei francesi hanno captato segnali di garbato dissenso preventivo da parte del governo Meloni all’eventuale progetto di crescita che il loro colosso creditizio Credit Agricole potesse coltivare sul Banco Bpm per diventarne, da primo azionista qual è, azionista di controllo. “Meglio di no, grazie”, è echeggiato dai Palazzi del potere politico nazionale. Come mai? E cosa succede all’interno della grande banca di piazza Meda, guidata da Giuseppe Castagna e presiediuta da Massimo Tononi?

Non che l’Agricole avesse manifestato intenzioni ostili a qualcuno, al contrario. Il suo leader indiscusso in Italia, Giampiero Maioli, pur forte di una quota del 9,9% nel capitale della banca che lo rende il primo azionista, è sempre stato chiarissimo: “Abbiamo sempre detto che abbiamo una partnership di lungo corso con Banco Bpm che abbiamo voluto rafforzare entrando nel capitale, firmando l'accordo di bancassurance. Lungi da noi l'idea di presentare situazioni ostili". Più chiari di così.

Ma la verità è che la riforma Renzi ha lasciato le ex banche popolari orfane di qualunque azionariato d’indirizzo. Chiunque si muova sui mercati mondiali con le spalle un po’ forti, con uno starnuto sale a cassetta. Chi quella legge ha subìto, come il centrodestra che oggi governa, se ne rende conto. E teme che il Paese possa dover dire presto addio ad altri pezzi pregiati di quel che resta del suo sistema bancario. Peraltro, con Unicredit e Montepaschi di Siena diversamente “in cerca d’autore”, col primo a caccia di prede da acquisire e il secondo di cacciatori che lo acquisiscano, soluzioni tutte italiane per una crescita di Banco Bpm non ne mancherebbero.

Nel frattempo però – ed è questo il terreno su cui si rischia lo scivolone – l’azionariato attuale dovrebbe essere mantenuto, per amore o per forza, nella condizioni di garantire la migliore Governance possibile alla banca. A corroborarlo, questo azionariato, e radicarlo di più in terra patria, hanno pensato – certo non per la mattana di un momento – un colosso previdenziale come l’Enasarco, che da solo ha speso 101 milioni per comprare l’1,97% della banca, affiancato da altri due enti più piccoli, Enpaia (impiegati agrari) ed Enpaf (farmacisti), fino a un complessivo 3%.

Questo 3% si affianca idealmente al patto che raccoglie alcuni soci istituzionali, titolari nell’insieme dell’8,28%: Fondazione CRT, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, Fondazione Enpam, Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, Inarcassa - Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Tutti insieme sfiorano in 12%.

Ebbene, in queste ore, ed in vista dell’assemblea dei soci convocata per il 7 febbraio e destinata a nominate il nuovo consiglio, il vertice della banca sta dandosi da fare per presentare una lista di candidati che contemperi i diritti alla rappresentanza di tutti i gruppi azionari importanti nonché delle minoranze. Se ne sta occupando il presidente, perché è un compito che non spetta al capo-azienda… E’ un’attività del tutto informale, e se pretendesse di esporsi formalmente incapperebbe nei divieti istituzionali contenuti nelle regole che obbligano la volontà dei soci a formarsi e manifestarsi solo in assemblea, senza pretattiche. Ma poi la costituzione materiale del Paese vede sempre ripetersi queste manovre preliminari.

Ebbene: appare pacifico che l’Agricole ottenga almeno un paio di consiglieri sui 12 che la lista dovrebbe offrire ai soci, lasciando solo 3 posti su 15 alla minoranza. Ma ormai prima dell’Agricole c’è la pattuglia delle Fondazioni e degli Enti italiani.

Chi rappresenterà in consiglio questo patto più i tre nuovi soci italiani che può se non garantire rafforzare il radicamento nazionale dell’istituto? Si è scritto di solo due consiglieri, che forse per anzianità potrebbero essere i presidenti dell’Enpam (che però è un medico: Alberto Oliveti) e della Fondazione Crt (Davide Canavesio): ma sarebbe oltremodo strano oscurare la rappresentanza dei tre enti nuovi entrati, che hanno appena sborsato tanti soldi per esserci; in particolare di Enasarco, che esprime una competenza finanziaria di nuovo conio dopo il ribaltone che ha finalmente rinnovato la governance insediando al vertice un consulente finanziario, Alfonsino Mei, che di finanza vive da trent’anni. A questo quadro frastagliato si potrebbero aggiungere un paio di nomi designati, come di costume, da Assogestioni, che rappresenta gli altri azionisti finanziari importanti del Banco, come Capital Research and Management Company e Norges Bank.

Mentre qualcuno a Roma, nei palazzi della politica e in particolare della Lega – che tra Veneto e Lombardia si sente in fondo “titolare residenziale” del potere nel Banco – ipotizza anche combinazioni più fantasiose, anche a tre soggetti, ma ovviamente sempre radicate in Italia, il colosso francese resta a guardare, pacifico come sempre ed anche accreditato dall’eccellente comportamento osservato in molti decenni di investimenti in Italia, a differenza di quanto fatto dai connazionali Bnp Paribas in Bnl e SocGen nel fugace passaggio in Montepaschi. "Non abbiamo espresso intenzione di superare il 10% né abbiamo mai chiesto autorizzazioni in tal senso", ha ricordato Maioli, “e faremo tutto il possibile per evitare liste che possano andare in competizione tra di loro. Non è il nostro scenario".

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