Economia
Buoni o cattivi/ Banche e finanza
Chi sale e chi scende, chi ci è piaciuto e chi no: ecco la nostra classifica settimanale relativa ai più importanti soggetti che operano nel mondo della finanza

Buoni o cattivi/ La rubrica più pungente di Affaritaliani
La rubrica di Affaritaliani più pungente, più temuta e più detestata dal mondo economico e imprenditoriale. I voti a chi ci mette la faccia e a chi invece preferisce restare in disparte. Ma anche a chi non ha voglia di comunicare o a chi si trincera dietro il “lei non sa chi sono io”. Questa settimana tocca alle aziende bancarie del mondo finanziario, dopo la scorsa puntata – assai letta – sui presidenti. La prossima volta? Mistero. Quello che è certo è che ogni settimana tutti pronti: ne vedremo delle belle. Allacciate le cinture.
Promossi
Mps: alzi la mano chi, solo 18 mesi fa, avrebbe scommesso che l’istituto di credito guidato da Luigi Lovaglio sarebbe riuscito a papparsi in un solo boccone il salotto buono di Mediobanca. E a diventare il crocevia finanziario del nostro Paese in attesa della fusione sempre più possibile (e caldeggiata dalla politica) con BancoBpm per la creazione di un terzo polo tutto italiano con una fortissima presa sul risparmio gestito. In attesa di capire come si risolverà la partita di Generali.
Unicredit: ci vuole del fegato per criticare uno come Andrea Orcel che in tre anni ha garantito 23,5 miliardi di utili alla banca e ha arricchito i suoi azionisti. Oggi la banca di Piazza Gae Aulenti flirta con i 100 miliardi di capitalizzazione in Borsa e continua a cercare opportunità di crescita che le vengono negate più da una politica miope (vero ministro Giancarlo Giorgetti?) che da incapacità del management. Se non riuscirà neanche con Commerzbank, Orcel si consolerà con una previsione di utili per il triennio in corso vicina ai 30 miliardi. Insomma, niente male.
Intesa Sanpaolo: resta la banca per antonomasia. Di sistema, capillare, presente. Fuori dal risiko (e per fortuna vista la confusione), l’istituto di credito guidato da Carlo Messina continua a fare – bene – il mestiere principale: erogare credito e sostenere le aziende. Fideuram, guidata da Lino Mainolfi, rappresenta il fiore all’occhiello del risparmio gestito.
Bocciati
Crédit Agricole: ha rilevato il 20% di BancoBpm sperando così di inserirsi di diritto nel risiko che verrà. Ma non ha fatto i conti con il golden power – che il governo ha già detto che userà nel caso dovesse provare a salire ulteriormente in Piazzetta Meda, non foss’altro per non far apparire troppo smaccatamente partigiano l’altolà a Unicredit. E neanche con un ex avvelenato, quel Luigi Lovaglio che da amministratore delegato del Credito Valtellinese si ritrovò sotto Opa nel 2020 e dovette abdicare, non senza qualche rimpianto. E oggi, come dice un proverbio cinese, siede sulla riva del fiume aspettando di vedere passare il cadavere del nemico. Che è verde e francese.
Unipol: dopo l’orrenda sceneggiata messa in pista per cacciare Piero Luigi Montani (con canzone di Vasco sparata a tutto volume), Carlo Cimbri ora cerca di restare strategico all’interno di un risiko che è decisamente una spanna sopra la sua testa. Per ora, quantomeno, se poi le cose dovessero cambiare si farà pubblicamente ammenda. Certo che dalla grande Unipol uno si aspetterebbe un po’ più di centralità, e invece si sono pure presi gioco degli analisti quando hanno candidamente dichiarato che non avevano intenzione di vendere Mediobanca quando invece avevano già aderito all’Opas.
Visa: il mito appannato della carta di credito che negli anni ‘80 faceva sognare il mondo occidentale oggi soccombe sotto i colpi del fintech da una parte e delle nuove funzioni sui telefoni che di fatto pensionano strumenti di pagamento quasi obsoleti. Peccato, le tre strisce erano iconiche, ma oggi sono sempre più sbiadite.