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Economia
Giovanni Ferrero interessato a Repubblica. Ma la società smentisce

Giovanni Ferrero interessato a Repubblica

Felix The Cat
 

Per ora è una notizia riservata, un sussurro che gira negli ambienti che contano. Ma Affaritaliani.it ha potuto raccogliere un’indiscrezione bomba: Giovanni Ferrero, “mister Nutella”, l’uomo più ricco d’Italia, sarebbe interessato a comprare Repubblica. A fare da mediatore sarebbe Mario Calabresi il quale, defenestrato dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari nel 2019 per far posto a Corrado Verdelli, non vedrebbe l’ora di tornare in sella a Repubblica. Sì, perché l’accordo prevedrebbe (il condizionale è sempre d’obbligo) che a fare il direttore sarebbe proprio lo stesso Calabresi, che potrebbe quindi abbandonare Guido Brera nella sua avventura in Chora Media

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Il valore dell’operazione? Siamo ancora nelle fasi preliminari, ma qualcuno sostiene che ci si potrebbe sedere intorno a un tavolo per una cifra intorno ai 100 milioni di euro. Una cifra verosimile, perfino bassa, se si pensa che l’intero gruppo Gedi nel 2022, quando ancora aveva nel suo “paniere” le testate locali, fatturava circa 490 milioni (con il ritorno all'utile). Ma è logico che la valutazione è figlia dei tempi. Il nuovo piano proposto e messo al vaglio della redazione prevede il prepensionamento di 46 giornalisti esperti a fronte dell’assunzione di 23 junior. 

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Il 2022 si è chiuso con il ritorno all’utile, ma anche con un calo di fatturato che oggi si attesta a circa 490 milioni, in calo del 6% rispetto all’anno prima. La forza lavoro è diminuita in maniera notevole: erano 450 redattori nel 2011, sono oggi poco più di 320. C’è poi il problema delle vendite. Nei tre anni della direzione di Maurizio Molinari, succeduto a Verdelli, le copie sono crollate a 68mila, poco più della metà del Corriere. Tra l’altro, mentre Repubblica è stata per anni leader nel digitale, oggi è invece sopravanzata da Via Solferino. Facile comprendere, quindi, come la valutazione non possa essere stellare. Ma l’allure… quella ovviamente rimane. Il fascino del grande vecchio, della nobile decaduta, avrebbe fatto scattare l’attenzione di Giovanni Ferrero.

Imprenditore affascinante, amatissimo dai dipendenti e da tutta Alba, uomo schivo e poco incline al gossip, sarebbe lui pronto a raccogliere l’eredità di un altro piemontese, l’ingegner De Benedetti, per provare a rilanciare Repubblica. Dal canto suo, John Elkann – che di piemontese, a parte i natali del nonno, ha ben poco – non vedrebbe l’ora di disfarsi anche del giornale fondato da Eugenio Scalfari. E uscire a passi lunghi e ben distesi dal mondo dell’editoria nostrana.

Tant’è che qualcuno ipotizza che stia tirando anche qualche “sòla”. Il sospetto viene a leggere le ultime cronache che riguardano due ormai ex costole del Gruppo Gedi: il 13 dicembre l’Espresso, dopo neanche 18 mesi nelle mani di “Mr Miliardo” Danilo Iervolino, cambia mano e finisce all’imprenditore Donato Ammaturo. Un petroliere, non esattamente un grande esperto di inchiostro e rotative. Iervolino, che sarà ricco ma non certo sprovveduto, ha preferito continuare a lavorare sulla sua Bfc Media (quotata in Borsa) che edita soprattutto Forbes. 

Qualche giorno prima, il 7 dicembre per la precisione, la neonata Nem (Nordest Multimedia), il gruppo guidato da Enrico Marchi che ha rilevato le sette testate locali del Triveneto dal gruppo Gedi, dichiara lo stato di crisi. Bisogna prepensionare 36 persone, così ripartite: 16 nelle testate venete del gruppo, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova Venezia e il Corriere delle Alpi e NordestEconomia. Le rimanenti sono distribuite tra il Piccolo di Trieste (9) e il Messaggero Veneto (11). E l’annuncio viene dato il 22 dicembre con una lettera al Cdr e, per conoscenza, alla Fnsi e al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. 

Un parziale successo viene ottenuto dai sindacati che ottengono almeno che per ogni esubero ci sia un’assunzione, di fatto migliorando gli accordi che prevedono l’obbligo di un nuovo innesto ogni due prepensionamenti. In assenza di ulteriori informazioni c’è solo da sperare che la tipologia contrattuale applicata sia quella del cosiddetto “articolo 1” Fnsi, e non Uspi che garantisce una retribuzione inferiore. 

Ma torna la domanda. Non sarà che Elkann, nel vendere le testate del gruppo Gedi, abbia davvero fatto un ottimo affare? E non sarà che la stessa Repubblica, in costante emorragia di copie vendute, possa diventare un altro asset sacrificabile sulla via dell’efficienza di un Exor sempre più fruttuosa (e sempre meno italiana)? E non sarà che la querelle con Giorgia Meloni su una Repubblica “nemica” del governo l’abbia convinto che potrebbe essere arrivato il momento di cedere il pezzo forte della collezione in Italia? Si vedrà. 

La smentita del gruppo Gedi

Ma alla notizia di Giovanni Ferrero interessato all'acquisizione del quotidiano, il gruppo editoriale Gedi "smentisce ufficialmente" l'indiscrezione definendola un'ipotesi "priva di fondamento".

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