Confindustria vede nero, i dazi Usa al 30% costano caro all'Italia: export dimezzato, Pil giù dello 0,8%  - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 12:12

Confindustria vede nero, i dazi Usa al 30% costano caro all'Italia: export dimezzato, Pil giù dello 0,8% 

Dazi Usa al 30% e impatto negativo sull'economia italiana: il Centro Studi dell'associazione degli industriali fotografa il clima di incertezza globale con l'amministrazione Trump

di Redazione

Confindustria: i dazi Usa al 30% costerebbero caro al Pil 

Il Centro Studi di Confindustria lancia l’allarme: se i dazi statunitensi sui beni europei dovessero salire al 30% e il cambio euro-dollaro restasse sui livelli attuali, l’impatto sull’economia italiana sarebbe significativo. Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti si ridurrebbero di circa 38 miliardi di euro, pari al 58% delle attuali vendite dirette nel mercato americano. Questo corrisponderebbe al 6% dell’export totale italiano e al 4% della produzione manifatturiera, considerando anche gli effetti indiretti lungo la filiera.

Un impatto netto sul Pil e investimenti in calo

Il colpo all’export comporterebbe un impatto netto negativo sul Pil italiano, stimato in una perdita dello 0,8% nel 2027 rispetto allo scenario base senza dazi. Gli investimenti in macchinari e impianti subirebbero una flessione dell’1%. A mitigare, in parte, l’effetto negativo sarebbe la capacità delle imprese italiane di diversificare i mercati di sbocco e di competere su elementi non legati al prezzo, come la qualità e l’innovazione dei prodotti. Secondo le simulazioni di Confindustria, infatti, le vendite verso altri mercati al di fuori degli Usa potrebbero crescere di circa 13 miliardi di euro entro il 2027, compensando parzialmente la perdita nel mercato americano. Tuttavia, l’export complessivo risulterebbe comunque in calo del 4%.

Rischi amplificati da incertezza politica e dollaro debole

L’analisi evidenzia come l’effetto dei dazi sarebbe ancora più forte nel caso diventassero permanenti, portando allo spostamento di parte della produzione direttamente negli Stati Uniti. A rendere più difficile la situazione contribuiscono anche l’indebolimento del dollaro – che a luglio ha toccato una media di 1,17 contro l’euro, con picchi fino a 1,18 – e il rallentamento dell’economia statunitense. L’incertezza economica e politica ha raggiunto livelli record: l’indice di Economic Policy Uncertainty è salito del 131% da dicembre 2024 a luglio 2025 negli Usa, e del +86% a livello globale, superando i massimi della pandemia.

Questo clima di instabilità colpisce anche la fiducia degli operatori economici e contribuisce alla debolezza del dollaro, aggravando l’effetto negativo sulle esportazioni italiane. Un’indagine della Banca d’Italia rivela che l’80% delle imprese italiane che esportano principalmente negli Usa prevede un calo delle vendite già dal secondo trimestre 2025. Questo conferma l’allarme lanciato da Confindustria sul rischio concreto che il nuovo quadro commerciale penalizzi fortemente il made in Italy.

Lo scenario europeo: stagnazione e necessità di integrazione

In questo contesto, Confindustria sottolinea l’urgenza di rafforzare il mercato unico europeo per renderlo più resiliente agli choc globali. Le priorità includono l’armonizzazione delle regole, il potenziamento delle infrastrutture transeuropee e il completamento del mercato unico dei capitali. Fondamentale, inoltre, diversificare geograficamente i mercati di esportazione italiani, puntando su aree con alto potenziale di crescita come i Paesi del Mercosur (che già assorbono 7,5 miliardi di export italiano), l’India, l’Australia e i paesi ASEAN.

Situazione congiunturale: industria stagnante, fiducia in calo

La congiuntura italiana resta fragile. L’industria è stagnante nel secondo trimestre, mentre i servizi mostrano solo una debole crescita. L’analisi mensile Flash del Centro Studi segnala che “gli ulteriori annunci sui dazi Usa hanno aumentato l’incertezza ed erodono la fiducia”, mentre “il dollaro svalutato, l’indebolimento della domanda e i costi crescenti peggiorano le prospettive per export, consumi e investimenti”.

Qualche elemento positivo proviene dal calo del prezzo del petrolio – sceso a una media di 71 dollari al barile a luglio, dopo il picco di 79 di giugno – e dal percorso di tagli dei tassi nell’Eurozona. La BCE potrebbe ridurre ulteriormente i tassi nei prossimi giorni, dopo il taglio di giugno che li ha portati al 2,00%, grazie a un’inflazione contenuta: +1,7% in Italia e +2,0% nell’Eurozona. Infine, lo scenario europeo è anch’esso complicato: la produzione industriale è calata in Francia (-0,5% a maggio), è cresciuta in Germania (+2,2%) e Spagna (+0,6%). A giugno, però, gli indici PMI hanno registrato una flessione generalizzata della fiducia, soprattutto in Francia e Germania. Solo la Spagna continua a mostrare segnali di espansione.

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