Dall'automazione all'IA, italiani sempre più stanchi e impauriti: così il rapporto Ocse svela il nostro paradosso tecnologico - Affaritaliani.it

Economia

Dall'automazione all'IA, italiani sempre più stanchi e impauriti: così il rapporto Ocse svela il nostro paradosso tecnologico

Il rapporto Ocse mette in luce un paese che ha fame di futuro, ma chiede una mano per salirci a bordo

di Raffele Volpi

Il commento 

C’è un’Italia silenziosa, profonda, che non urla in piazza ma si esprime con nettezza quando viene interpellata. Un’Italia che non si accontenta di slogan, ma che, messa di fronte alle grandi trasformazioni – demografiche, economiche, tecnologiche – si scopre lucidamente consapevole, anche se inquieta. Lo conferma l’ultima indagine dell’OCSE, “More Effective Social Protectionfor Stronger Economic Growth”, che analizza le percezioni e le aspettative dei cittadini in 27 paesi sviluppati. Il focus sull’Italia è impressionante. E merita attenzione, non solo dai policy maker, ma da chiunque creda in un’economia capace di includere e crescere.
 
Gli italiani hanno paura. Di guerre e terrorismo, con oltre l’80% degli intervistati che teme scenari geopolitici destabilizzanti, della vecchiaia senza pensione, della malattia senza cure, della precarietà economica. Ma soprattutto temono che il futuro non sia per loro. Un timore sordo e diffuso, aggravato da un quadro demografico impietoso: il tasso di fecondità è sceso a 1,18 figli per donna, record negativo in Europa; le nascite hanno toccato i minimi storici con appena 370.000 bambini nel 2024; l’emigrazione giovanile è aumentata del 20,5% nello stesso anno, con quasi 200.000 italiani che hanno lasciato il paese; il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati si sta rapidamente deteriorando; e la spesa previdenziale è destinata a superare il 17% del PIL entro vent’anni. È un’Italia che si svuota e invecchia. E che sente il peso della propria fragilità.
 
Ed è qui che emerge il paradosso forse più interessante del rapporto OCSE: gli italiani temono l’intelligenza artificiale, l’automazione, la trasformazione digitale del lavoro. Temono di essere sostituiti da un algoritmo, di non riuscire più a orientarsi tra schermi e procedure informatiche, di vedere i propri dati personali mal gestiti. Eppure, nella stessa indagine, oltre il 70% degli italiani chiede con forza investimenti in formazione, sia per i giovani sia per i lavoratori adulti. Vogliono imparare. Vogliono aggiornarsi. Vogliono “stare al passo”. È una simbiosi affascinante: abbiamo paura, ma vogliamo entrare nella macchina. Sospettiamo del futuro, ma pretendiamo gli strumenti per non farci travolgere. Non è resistenza. È un desiderio profondo di emancipazione. Di non essere scartati.
 
Nel frattempo, la fiducia nei servizi pubblici scricchiola. Pochi riescono a districarsi facilmente nella burocrazia dei bonus e delle prestazioni sociali. Troppi ancora si perdono tra carte, PIN, assenza di sportelli umani. Il digitale avanza, ma senza vera inclusività. Solo il 31% degli italiani considera facile l’accesso ai servizi, mentre il 43% continua a preferire modalità cartacee o fisiche. E mentre si parla di intelligenza artificiale per l’erogazione delle misure sociali, solo il 32% degli italiani si fida davvero che lo Stato gestisca bene i propri dati personali. Anche qui, il rapporto non dice che gli italiani siano contrari alla modernizzazione, ma evidenzia una richiesta: digitalizzazione sì, ma con trasparenza, umanità e garanzie.
 
Nel frattempo si delinea un’altra domanda implicita: più partecipazione femminile al lavoro, più occupazione stabile, più accesso a tempo pieno. C’è un’Italia che non chiede sussidi, ma condizioni per contribuire. Un’Italia che non ne può più di annunci, e che non ha più tempo per riforme cosmetiche. Non è questione di destra o sinistra, ma di capacità – o incapacità – di visione.
 
Cosa fare allora? L’OCSE non offre soluzioni precostituite, ma mostra con chiarezza le aree critiche. Serve un cambio di passo netto. Servono investimenti mirati in formazione continua per i disoccupati e per chi rischia di essere espulso dal mercato del lavoro. Serve un patto tecnologico nazionale che coinvolga imprese, regioni e sindacati, in grado di accompagnare la trasformazione digitale senza lasciare indietro nessuno. Serve un welfare più flessibile, ibrido, dove lo Stato faciliti l’accesso anche a forme mutualistiche e personalizzate. Serve una fiscalità intelligente che premi i giovani che restano in Italia, mettono su famiglia, avviano attività produttive. Serve, infine, una grande campagna nazionale di fiducia verso l’innovazione, che dica chiaramente che la tecnologia non è il nemico, ma uno strumento potente se sapremo governarlo.
 
L’Italia, nel rapporto OCSE, non appare come un paese rassegnato. Appare come un paese stanco ma non arreso. Un paese che ha fame di futuro, ma chiede una mano per salirci a bordo. E allora, forse, la vera sfida non è proteggere gli italiani, ma abilitarli. Renderli protagonisti attivi della modernità. Non è troppo tardi. Ma serve coraggio. E serve visione.