Economia
Flat tax, con la proposta di Salvini duemila euro in meno all'anno

Fisco, con la “flat tax” di Salvini gli italiani pagherebbero mediamente 2.000 euro un meno di tasse all’anno. Il problema restano le coperture
Un Paese come l’Italia in cui dal 2011 al 2017 la pressione fiscale complessiva, secondo i dati dell'Osservatorio Cna, è salita dal 59% al 61,2%, l’idea avanzata dal leader della Lega, Matteo Salvini, di introdurre una “flat tax” al 15% da abbinare a una deduzione pro capite di 3 mila euro appare suadente, se non altro perché va nella direzione di una più volte auspicata riduzione dell’onere impositivo e di una semplificazione il sistema fiscale italiano.
La proposta di Salvini, ripresa nelle ultime settimane anche dal leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, discende, storicamente, da quella elaborata dall’Istituto Bruno Leoni, che peraltro suggerisce un’aliquota al 25% e, soprattutto, prevede tagli alla spesa pubblica per 31 miliardi di euro l’anno, equivalente appunto al costo di una aliquota fiscale unica al 25% al posto del sistema attuale basato su aliquote progressive che vanno dal 23% per i redditi da 0 e fino a 15.000 euro al 43% per redditi superiori ai 75.000 euro.
Un sistema che avrebbe dovuto andare in soffitta dal primo gennaio di quest’anno, secondo le promesse dell’ex premier Matteo Renzi che aveva proposto tre soli scaglioni e relative aliquote (7,5% fino a 15mila euro, 31,5% oltre i 15mila e fino a 28mila euro, 42%-43% oltre i 28mila euro) mantenendo la “no tax area” per i redditi inferiori agli 8.000 euro annui. La proposta peraltro rimase tale, nel senso che è slittata “sine die”, il che è indicativo della difficoltà che trova la politica a passare dalle promesse ai fatti quando si tratta di far quadrare i conti pubblici.
Ma chi ci guadagnerebbe dall’introduzione di un sistema basato su un’aliquota unica al 15% e 3 mila euro di deduzioni pro capite? Facciamo due calcoli, tenendo anche presente che il reddito imponibile medio a fine 2016 risultava in Italia pari a 20.690 euro. Chi ha tra 8 e 15 mila euro di reddito imponibile attualmente paga su tali redditi sino a 1.610 euro, con la proposta di Salvini ne pagherebbe al massimo 1.050 euro con un risparmio di 560 euro l’anno pro capite.
Chi invece ha un reddito tra 15mila e 28mila euro (ossia la maggior parte degli italiani) con la proposta leghista pagherebbe su tale scaglione di reddito un massimo di 1.950 euro contro i 3.510 euro attuali con un risparmio di 1.560 euro annui, che si sommerebbero ai 560 euro dello scaglione precedente per un totale di 2.120 euro. Per redditi tra 28mila e 55mila euro oggi si pagano 10.260 euro (aliquota del 38%), con la flat tax se ne pagherebbero 4.050 euro sommando così altri 6.210 euro e facendo salire il risparmio fiscale a 8.330 euro.
Con redditi tra 55mila e 75mila si debbono al momento pagare altri 8.200 euro, con l’aliquota unica leghista se ne pagherebbero solo 3.000, ossa 5.200 in meno (e il risparmio complessivo salirebbe a 13.530 euro), mentre oltre i 75 mila euro ad oggi si paga il 43% di imposta, con la proposta di Salvini si risparmierebbero 280 euro per ogni mille euro di reddito aggiuntivo.
Ma quanto è materialmente realizzabile la riforma suggerita dal leader della Lega? Qui sorgono i problemi maggiori: l’istituto Bruno Leoni che, come detto, prevedeva un’aliquota non del 15% ma del 25% stimava in 31 miliardi il costo della propria proposta in termini di minori entrate fiscali. L’idea di Salvini costerebbe più del doppio, anche se non si applicherebbe a tutti i 41 milioni di contribuenti italiani.
Sarebbero infatti esclusi 11 milioni di individui che non presentano dichiarazione dei redditi, più altri 21,5 milioni che ricevono direttamente un reddito dallo stato tra cui in particolare 14,2 milioni di pensionati e 3,2 milioni di dipendenti pubblici più le persone a loro carico. Anche così, e tenendo conto anche della rimodulazione delle deduzioni/detrazioni, la flat tax leghista farebbe entrare nelle casse dello stato, secondo alcuni calcoli, non meno di 37-40 miliardi di euro in meno ogni anno.
Così alla fine la scommessa è tutta qui: se Salvini e il Centrodestra in generale vogliono davvero varare una grande riforma fiscale, seguendo l’esempio di Donald Trump, non eccezionalmente vantaggiosa per i contribuenti a basso reddito ma comunque attraente rispetto al sistema attuale e decisamente conveniente per i contribuenti a reddito medio-elevato, l’unico modo sarà far dimagrire drasticamente la spesa pubblica.
Considerato che le due voci di gran lunga più importanti del bilancio dello stato italiano sono sanità e pensioni, è rimodulando (e riducendo) tali prestazioni che si potrebbero trovare risparmi sufficienti a “pagare” la riforma, anche che l’emersione di parte del “nero” dovuta alla promessa di minore pressione fiscale potrebbe fornire un aiuto così come l’efficientamento della spesa pubblica e la riduzione di voci di spesa “clientelari”.
Peccato che in un caso (l’emersione del nero) le stime siano quanto meno aleatorie, nel secondo (sprechi e spese clientelari, ma anche eventuali riduzioni della spesa previdenziale e sanitaria) si siano dimostrate molto coriacee da tagliare, come ben sa l’ex commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli.