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Economia
Generali, 20 prede tra Asia, Ue ed Usa. La strategia a due step di Del Vecchio

L’importante, nella vita come negli affari, è rimanere sempre coerenti e coerente certamente Leonardo Del Vecchio è sempre stato in tutto il suo percorso imprenditoriale. Difficile pensare che possa cambiare modus operandi ora, se veramente come pare l’obiettivo ultimo del suo investimento in Mediobanca non è solo legato alla volontà di rivitalizzare e far crescere il business dell’investment banking di Piazzetta Cuccia, ma anche utilizzare il 12,86% (da affiancare al 4,87% di Delfin che per alcuni potrebbe salire anche all’8%) che rende Mediobanca il primo socio di Generali per assumere il ruolo di “dominus” anche a Trieste per favorirne la crescita.

Una crescita che può certamente avere come traguardo finale la creazione di un nuovo campione assicurativo europeo, ma che prima dovrà passare per uno (o due) step intermedi, visto che ad oggi Generali capitalizza circa 22 miliardi di euro, Zurich capitalizza 51,5 miliardi di franchi svizzeri (circa 47,6 miliardi di euro), Axa attorno ai 47,3 miliardi di euro e Allianz veleggia sopra i 78 miliardi. Come dire che per puntare a un matrimonio “alla pari”, occorre far salire di taglia Generali di almeno 25 miliardi di euro.

Detto in altro modo, dato che nel 2019 Trieste è riuscita a raccogliere premi lordi per complessivi 69,8 miliardi, circa dieci miliardi in più di Zurich ma oltre 34 miliardi meno di Axa e ben 72 miliardi abbondanti sotto la raccolta lorda complessiva di Allianz, sarà necessario un marketing mix più favorevole (ossia riuscire a collocare prodotti a più elevata marginalità, come quelli di risparmio gestito) per convincere il mercato che Generali vale multipli più generosi, o riuscire a far crescere significativamente la raccolta. 

Soprattutto in epoca post Covid-19, tuttavia, questo secondo obiettivo è di fatto impossibile, in tempi brevi, facendo affidamento unicamente sulla crescita organica e anche le acquisizioni fatte in questi anni (Ina-Assitalia e Toro in Italia, Ppf e Seguradoras Unidas in Europa) pur importanti non sono bastate a colmare il gap, né basterà a tal fine il miliardo di euro già accantonato per nuove acquisizioni.

Del Vecchio, è l'opinione degli addetti ai lavori che seguono il mercato delle polizze, potrebbe suggerire di guardare fuori dal vecchio continente sia per fare qualche ulteriore “colpo” mirato, magari in Asia come già suggerito da Philippe Donnet, sia per un’operazione più importante magari in un mercato che conosce bene, come gli Stati Uniti, ma anche in Europa. Così da realizzare una crescita in due (o più) step, come già fatto con Luxottica.

Le alternative, sulla carta, sono numerose: volendo sintetizzare, Generali potrebbe puntare ad una preda del comparto assicurativo-finanziario che non “costi” più di una decina di miliardi di euro, o cercare di mettere le mani su una preda tra i 10 e i 20 miliardi di controvalore. Nel primo caso nell’area Asia-Pacifico ci sarebbero IAG (Insurance Australia Group, circa 9 miliardi di euro di capitalizzazione al momento) o Qbe Insurance Group (8 miliardi), oltre a Suncorp Group (7,5 miliardi). Negli Usa si potrebbe guardare a Lincoln National (7,2 miliardi di euro di capitalizzazione) o a Cincinnati Financial (9,2 miliardi), poco più in là, in Canada, a Fairfax Financial Holdings (7,7 miliardi di euro).

In Europa l’offerta abbonderebbe con le olandesi Aegon (6 miliardi al momento) e NN Group (la parte assicurativa scorporata da ING Groep dopo la crisi del 2008, che vale poco meno di 10 miliardi), la britannica Standard Life (6,75 miliardi), la belga Ageas (6,9 miliardi) o la francese CNP Assurances (7,75 miliardi). Tutti nomi che a Trieste, ma anche a Piazzetta Cuccia, sono ben noti, ciascuno con le sue problematicità e punti di forza. Più impegnativa, ma in grado di imprimere una maggiore accelerazione (consentendo di avvicinarsi più rapidamente all’obiettivo finale), potrebbe essere l’aggregazione con un gruppo tra i 10 e i 20 miliardi di capitalizzazione. 

Anche in questo caso c’è solo l’imbarazzo della scelta sia in Asia, o meglio in Giappone, con Sompo Holdings (11,2 miliardi di euro di market cap), Dai-Ichi Life Insurance (13,5 miliardi) e MS&AD Insurance Group (15,2 miliardi), sia negli Usa, dove si potrebbe scegliere tra il più “piccolo” Principal Financial Group (10,5 miliardi), il medio peso Hartfod Financial (13,3 miliardi) e la più grande Ameriprise Financial (16,15 miliardi), fino ad arrivare alla canadese Sun Life Financial (19,5 miliardi di euro), che richiederebbe quasi un “matrimonio alla pari”. Non mancherebbero, infine, possibili prede anche nel vecchio continente, da XL Group (12,1 miliardi) a Legal & General (15,3 miliardi). 

Nomi noti, anche in questo caso, e che in caso di fusione presenterebbero ancor più delle “piccole” di cui sopra una serie di complessità sia a livello regolamentare/di business sia a livello più propriamente politico (si pensi a paesi come il Giappone, ma non solo). Non sarà del resto un caso se, oltre a poter disporre di risorse relativamente limitate (con 1 miliardo di euro non si riuscirebbe a rilevare neppure una partecipazione vicina al 30% in alcuno dei nomi citati), il management di Trieste si è mosso finora coi piedi di piombo.

 

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