Guerra Russia-Ucraina, prezzi alle stelle: andremo a piedi per colpa di Putin? - Affaritaliani.it

Economia

Guerra Russia-Ucraina, prezzi alle stelle: andremo a piedi per colpa di Putin?

L'impennata del costo del carburante e la carenze di materie prime rischia di riportarci indietro di 50 anni

Economia di guerra: rischiamo un altro blocco

La guerra tra Russia e Ucraina rischia di bloccare l’economia italiana. Oltre ai prodotti alimentari che già iniziano a scarseggiare nei punti vendita all’ingrosso per l’Ho.Re.Ca. e i prezzi dei benzinai schizzati alle stelle, ci sono fosche previsioni per l’operatività dei prossimi giorni, vista la carenza di gas, carburante e materie prime. Il rischio è quello di tornare all’appiedamento forzato di mezzo secolo fa. Sì, perché il copione che lega guerra, crisi energetica e blocco delle attività produttive è stato già scritto nella storia del nostro Paese. E non una volta sola, ma addirittura due.

La crisi del 1973 e le domeniche a piedi

La prima crisi energetica capace di travolgere il nostro Paese risale al 1973. A scatenarla, anche in quel caso, fu la guerra: quella tra l’alleanza Egitto/Siria ed Israele. Un conflitto detto “del Kippur” perché iniziato il 6 ottobre, nel giorno della ricorrenza ebraica dello Yom Kippur. I paesi arabi associati all’OPEC (l'organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) sostennero l'azione di Egitto e Siria con forti aumenti del prezzo del barile e l’embargo nei confronti dei Paesi più filo-israeliani, tra cui quelli aderenti alla Nato. Fu ovviamente coinvolta anche l’Italia, dove il governo presieduto da Mariano Rumor si vide costretto a implementare un piano nazionale di “austerity economica” che prevedeva, tra l’altro, il divieto di usare le auto la domenica, la fine anticipata dei programmi tv e la riduzione dell’illuminazione pubblica. Nonostante questi accorgimenti, l’impatto sull’economia fu molto forte, segnando in pratica la fine della fase di sviluppo iniziata con il “boom” degli anni Cinquanta. La “crisi energetica” del 1973 stimolò una forte riflessione ambientalista, ma anche reazioni bellicose come quella tra Iran dello scià Mohammad Reza Pahlavi e l’Iraq di Saddam Hussein, Paesi produttori di petrolio che entrarono in guerra tra loro. Di conseguenza, l’Arabia Saudita e altri Paesi OPEC aumentarono le estrazioni, contribuendo ad abbassare il prezzo del greggio e quindi a terminare la fase di crisi. Ma non definitivamente.

1979: la rivoluzione islamica e la nuova crisi

Appena cinque anni dopo, una nuova crisi energetica iniziò in Iran, dove partirono gli sconvolgimenti politici che portarono alla rivoluzione guidata da Khomeini: la monarchia iraniana nel 1979 divenne una repubblica islamica. Lo scià Mohammad Reza Pahlavi fu costretto ad allontanarsi dal Paese, per fare fronte al turbamento sui mercati indotto dalle proteste di piazza. Il periodo di incertezza comportò un blocco delle esportazioni e il conseguente aumento dei prezzi, che si estese agli altri produttori del Medio Oriente, ma anche ad altri prodotti come propano, olio combustibile e diversi prodotti chimici. Gli Stati Uniti e tutta l’economia capitalista vennero duramente colpiti da questa nuova crisi, che ebbe riflessi anche sui livelli occupazionali e l’inflazione. Oltre a una maggiore attenzione alle dinamiche politiche mediorientali, l’Occidente rispose con lo sviluppo del nucleare. Per l’Italia, che proprio nel 1979 era entrata a far parte del sistema monetario europeo, le conseguenze furono il ritorno alle code al benzinaio, ma anche una marcata instabilità politica, nonché l’inasprimento delle lotte sindacali e del terrorismo. Solo negli anni Ottanta, anche grazie all’attivazione di nuovi giacimenti nel Mare del Nord e nell’Alaska, la crisi energetica venne definitivamente risolta. Almeno per quell’epoca. 

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