Inflazione Usa, non si vedono ancora gli effetti dei dazi. Ma a preoccupare è il rischio disoccupazione - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 17:14

Inflazione Usa, non si vedono ancora gli effetti dei dazi. Ma a preoccupare è il rischio disoccupazione

Inflazione stabile, ma i servizi spingono i prezzi: tariffe sotto controllo e pressione sui margini aziendali

di Martina Daga*

Inflazione Usa stabile, i dazi non impattano ancora: cresce il rischio disoccupazione

L’ultimo dato sull’inflazione CPI negli USA è in linea con il consenso e con le rivelazioni del mese precedente, rimanendo tra 2,5 e 3% a livello annuale. Come a giugno, è emerso qualche timido segnale di trasferimento delle tariffe sui prezzi al consumo in determinate componenti di beni essenziali, che tuttavia nel paniere hanno un peso irrisorio. I servizi di base segnano invece una crescita piuttosto sostenuta e rimangono il driver principale di crescita dei prezzi.

Il dato continua a segnare qualche pressione al rialzo sui prezzi al consumo, ma se ci si poteva aspettare che fosse la componente dei beni essenziali a dare segnali di aggiustamento al rialzo dei prezzi (direttamente impattati dalle tariffe imposte dall’amministrazione di Trump), sono stati invece i servizi a creare pressioni. Tra le componenti più volatili, i beni alimentari hanno visto i prezzi invariati rispetto al mese precedente, mentre l’energia segna una contrazione di -1,1%.

Tra le componenti core, i servizi segnano una crescita mensile dello 0,4% (dato maggiore da febbraio) trainata principalmente dai servizi di assistenza medica (+0,8% mensile) e i trasporti (+0,8% mensile), mentre i beni essenziali segnano una crescita +0,2% senza mostrare segnali di particolare pressione. L’arredamento e accessori per la casa e i servizi ricreativi continuano a crescere a un ritmo piuttosto sostenuto (rispettivamente dello +0,7% e +0,4% a livello mensile) dopo che già a giugno avevano visto una crescita sostenuta (+1% e +0,8%).

Allo scorso incontro di politica monetaria di luglio Powell ha di fatto legato la decisione del prossimo meeting di settembre ai dati in arrivo, in particolare alle prossime pubblicazioni dei dati sui salari del settore non agricolo e sull’inflazione. Fino ad ora, abbiamo visto i dati sui salari di luglio che hanno sicuramente alimentato la narrativa di rischi al rialzo sul tasso di disoccupazione.

Il dato di ieri sull’inflazione mostra ancora qualche pressione, ma non per motivi direttamente legati alle tariffe. Il fatto che il rafforzamento sia avvenuto nella componente dei servizi potrebbe essere un’indicazione di pressioni inflazionistiche che permangono nell’economia statunitense, al di là dei dazi. Tuttavia, segnali di mancata pressione dai dazi potrebbero ridurre le preoccupazioni della Fed.

Detto questo, le entrate da dazi doganali a giugno sono state pari a circa 27 miliardi di dollari nel mese e considerando i 265 miliardi di importazioni di beni, questo corrisponde a un tasso tariffario effettivo di circa il 10%. Qualcuno deve pagare queste tariffe: per il momento il prezzo delle importazioni rimane stabile e questo indica che gli esportatori non stanno concedendo sconti, il dollaro da aprile si è leggermente indebolito, e se le tariffe non pesano sull’inflazione, dovranno essere assorbite dai margini aziendali, e questo potrebbe spingere le aziende a licenziare e ridurre l’organico, argomentazione in più per vedere rischi su massima occupazione.

*Macro Economist, AcomeA SGR