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Economia
La globalizzazione dei vantaggi o dei guai? Il modello è la finanza mista

Per affrontare “la fase 2” dell’emergenza Coronavirus, la Regione Lazio si avvarrà di un team di esperti composti da professori di economia e di medicina, docenti universitari di impresa, top manager di Stato e giornalisti. Coordinerà il progetto il vicepresidente Daniele Leodori che è già al lavoro con il team di esperti chiamati ad elaborare proposte in termini di sostegno alle imprese, nuovi modelli sociali, organizzazione del lavoro nel rispetto delle misure di sicurezza. Nel team degli esperti anche Mario La Torre, professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la “La Sapienza”,  tra i maggiori esperti di finanza etica e sostenibile, già membro della taskforce G8 sugli investimenti ad impatto sociale, membro del Board dell’Ente nazionale per il microcredito e responsabile del Center for Positive Finance.

Professore,  può spiegarci come state lavorando?                                                                                                “La taskforce si è appena insediata ma possiamo considerarla già operativa, anche perché il mandato è quello di giungere in tempi brevi alla definizione di specifiche misure “di emergenza” ed alla individuazione di strategie di medio periodo per rilanciare in modo innovativo l’economia del Lazio. Sono stati individuati cinque gruppi di lavoro, dedicati a specifici temi; io mi occuperò delle iniziative riconducibili alla sostenibilità ed all’economia circolare”.

Quali misure considera imprescindibili per stimolare il mercato in questa che abbiamo imparato a conoscere come “Fase 2”?                                                                                                                          “Innanzitutto, occorrono misure di immediato sostegno alla liquidità di imprese e famiglie. In tale ottica, i vari governi nazionali hanno già operato mettendo in piedi, principalmente, strumenti di liquidità o di garanzia ai finanziamenti bancari. Ora, occorre che le misure locali -regionali e comunali- possano funzionare in un’ottica di complementarietà, sia per potenziare le azioni nazionali, sia per colmare i vuoti che non sono stati coperti dai governi centrali. In un’ottica di più ampio respiro, credo che tutte le iniziative debbano essere targate con il “marchio della sostenibilità” e pensate per aiutare le imprese a sviluppare quel percorso di transizione verso una economia green che sarà, in prima istanza, una leva concorrenziale, ed a regime, una condizione imprescindibile per rimanere sul mercato. Occorre, poi, lanciare strumenti finanziari innovativi, impostati su forme di partenariato pubblico-privato, sia per gli investimenti ad impatto ambientale, che per quelli ad impatto sociale. Le urgenze legate all’ambiente ed al clima non devono farci dimenticare la grave crisi di disuguaglianza sociale ed economica che stiamo sperimentando in tutto il mondo, ed anche in Italia. Dunque, la chiave di successo è un modello di blended finance  che attiva collaborazioni, tra governi e investitori privati, orientate all’impatto”.

Come vede il futuro dell'economia mondiale?                                                                                                      “Alla base di tutto, c’è l’evidenza che la globalizzazione significa globalizzazione dei vantaggi e, al tempo stesso, globalizzazione dei guai. Dunque, in entrambi i casi, le fortune economiche globali dipenderanno dalla capacità dei vari Paesi di guardare oltre il proprio naso, e mettere in pratica politiche di “concorrenza collaborativa”, piuttosto che di dumping estremo, come purtroppo stiamo verificando in questi tristi giorni di trattative europee, a dir poco indisciplinate. Un “si” od un “no” ai Corona bond, non vuol dire solo accordarsi su uno strumento di emergenza; significa, piuttosto, fare l’unico “salto di passo” in grado di emanciparci da un rischio di “microglobalizzazione retrograda”. Ricordo che uno dei più grandi intellettuali italiani, Francesco De Sanctis, rimproverava a Pascoli di essere un poeta intrappolato nelle proprie paure: in ragione di queste, cantava sempre le singole onde, e mai il grande Oceano: guardare alla piccola onda è più rassicurante che smarrirsi nel mare magnum dell’Oceano. Credo che De Sanctis direbbe altrettanto dell’Europa di oggi, se ne avesse la possibilità. Per molti Paesi europei, la condivisione del debito è l’Oceano in cui temono di perdersi, e non il grande mare che porta verso altri e nuovi confini. Alla base, si evidenzia una grave crisi culturale della classe politica europea. In molti non hanno letto De Sanctis, ma neanche Heideger (per citare un tedesco), ed altri ancora”.

Lei è stato uno degli esperti che, per il Mibact, ha curato l’estensione della legge sul Tax credit per il cinema, attualmente esteso anche alle produzioni audiovisive. Cosa bisognerà fare per far ripartire l’industria culturale che risulta essere una delle più colpite da questa emergenza sanitaria?                            “Molte azioni occorrono, ma non è realistico immaginare di poterle attuare tutte nell’immediato. Però, una suggestione la darei, proprio alla luce dell’esperienza del credito d’imposta. Allo stato attuale l’industria è giustamente preoccupata di ricevere liquidità, ricorrendo ai canali tradizionali attivati per via ordinaria o straordinaria; e questo ci sta. Ma per una ripresa strutturata, l’idea che richiamavo di partenariati pubblico-privati vale anche per il settore culturale. Per l’audiovisivo, nella Legge Franceschini avevamo immaginato un canale del tax credit dedicato ad intermediari finanziari specializzati e costituiti sotto forma di fondi d’investimento o veicoli finanziari: aspettiamo da allora un decreto d’attuazione, e credo che i tempi, ora, siano maturi. Peraltro, lo schema potrebbe essere di ispirazione anche per questo nuovo fondo allo studio e che vedrebbe coinvolti Cassa Depositi e Prestiti ed il Credito Sportivo. Infine, anche in questo settore industriale vedo la possibilità di costruttive sinergie tra azione nazionale ed interventi regionali, in particolare modo nel Lazio, che da sempre è leader nell’industria audiovisiva e culturale”.

Cosa ci insegna questa pandemia?                                                                                                                              “Al momento posso dire, soprattutto, quello che non dovrebbe insegnarci: non confondere lo smart working con il donkey working (si lavora il triplo, inseguendo una call dietro l’altra), non pensare l’educazione a distanza come modello formativo totalizzante (la tecnologia può far comodo, ma le lezioni peripatetiche di Platone rimangono un benchmark ancora da battere), non barattare la libertà di relazione con la sicurezza (sono contro l’idea che questa pandemia, e quelle che eventualmente verranno, possano giustificare un controllo invasivo sugli spostamenti fisici e mentali degli individui). Insomma, è importante mettere in campo tutte le leve per scongiurare l’idea visionaria prefigurata da Orwel in 1984, anche se tante coincidenze di questi giorni sembrerebbero portare li”. 

Secondo lei, come si sta comportando l'Europa di fronte a questa emergenza?                                          “Come vedo l’Europa? La vedo come quei soggetti ossessivi compulsivi che, prima di imbustare una lettera nella cassetta postale, controllano mille volte la destinazione che hanno scritto di proprio pugno, poi la fessura della cassetta dove inserire la lettera, poi ancora l’indirizzo ed ancora la cassetta postale, e così per dieci, cento volte, senza riuscire a chiudere l’atto. Così la vedo. Per buona sorte, alla fine, le notizie, buone o cattive, si sanno comunque, anche se quella lettera non arriverà mai. In un modo o nell’altro, ne usciremo”.

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