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Economia
Pandemia, petrolio e high-yield: sui mercati c'è la tempesta perfetta

Non c’è alcuna “evidenza che gli andamenti della Borsa italiana siano riflesso di attacchi speculativi, salvo che non si voglia attribuire a questo termine la reazione degli operatori alle incertezze sul futuro generate dagli effetti del coronavirus sull’economia”. Una nota ufficiale di Consob stronca sul nascere le ipotesi complottiste, ma il mercato resta alle prese con almeno tre fattori di stress concatenati tra loro, il cui impatto sta generando una “tempesta perfetta”, col Ftse Mib che ha peso quasi un altro 10% oggi, dopo aver già ceduto il 15% la scorsa settimana. 

Wall Street: indice volatilità Vix ai massimi da crisi 2008/ L'indice Vix, che misura la volatilità della Borsa soprannominato dagli operatori anche l'indice della paura, sale ai massimi dalla crisi finanziaria del 2008, pesano il crollo del petrolio e la paura per il diffondersi del coronavirus. L'indice tocca quota 62 intraday. Wall Street oggi ha sospeso le contrattazioni per 15 minuti con il calo dello S&P 500 del 7%, non accadeva dal dicembre 2008. 

Il primo fattore è legato all’espandersi dell’epidemia da coronavirus in Italia e nel resto del mondo. Il nostro Paese ha ormai 7.375 casi accertati di contagio, per di più con una letalità (366 decessi, il 4,96% dei contagiati) superiore a quella media in Cina, Corea del Sud e in Iran. Ma il virus si sta ormai espandendo anche in Francia, Germania e Spagna e a breve si teme un incremento anche dei numeri di Gran Bretagna, Giappone e Stati Uniti. Questo potrebbe portare l’Organizzazione mondiale della salute (Oms) a dichiarare che si tratta di una pandemia di influenza. Del resto per l’Oms si ha una pandemia quando c’è “un’epidemia globale causata da un nuovo virus dell’influenza” a cui “c’è poca o nessuna immunità preesistente nella popolazione umana”. 

La pandemia più recente, ricorda l’Oms, “si è verificata nel 2009 ed è stata causata da un virus influenzale A (H1N1). Si stima che abbia causato tra i 100.000 e i 400.000 decessi a livello globale nel solo primo anno”. Se anche col coronavirus Covid-19 fosse pandemia, potrebbero scattare le clausole previste dal “pandemic bond” da 320 milioni di dollari emesso nel 2017 dalla World Bank, strutturato e gestito da Swiss Re, Munich Re e GC Securities, con conseguente distribuzione dei fondi da parte dell’emittente ai paesi IDA (International developmant association, organismo a cui aderiscono 173 paesi che offre sostegno ai paesi meno sviluppati) che ne facessero richiesta.

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Perché ciò accada occorrerà: la dichiarazione dell’Oms di pandemia, almeno 250 decessi nel paese d’origine del virus e almeno 20 decessi in un secondo paese (numeri purtroppo ampiamente superati); che siano passate almeno 12 settimane dall’origine della pandemia (sarà così dopo il 24 marzo); un tasso di crescita superiore a zero per un periodo di due settimane a fronte di tutte le altre clausole soddisfatte e un tasso di conferma di almeno il 20% per un periodo di due settimane settimane a fronte di tutte le altre clausole soddisfatte (queste ultime due clausole, secondo Euromoney, scatteranno dal 6 aprile). 

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L’ipotesi agita il mercato del debito “high-yield”, già reso nervoso dal secondo fattore di stress, la dichiarazione da parte del premier libanese Hassan Diab del primo default mai dichiarato dall’ex “Svizzera del Medio Oriente” (dal 2011 in grave crisi finanziaria) su un eurobond da 1,2 miliardi di dollari. Bond che avrebbe dovuto essere rimborsato la prossima settimana ed è nei portafogli delle maggiori banche libanesi ma anche di due gestori internazionali come Ashmore e Pimco. Ma non è  finita qui: dopo che venerdì sono saltate le trattative tra Opec e Russia per tagliare di 1,5 milioni di barili al giorno la produzione di petrolio, Riad e Mosca hanno ingaggiato una guerra di prezzi che sta facendo crollare le quotazioni dell’oro nero e generando un terzo fattore di stress dei mercati. 

borsa nasdaq wall street
 

Riad ha fatto sapere che Aramco, la maggiore compagnia petrolifera al mondo, taglierà i prezzi del greggio per consegne a partire da aprile di 4-6 dollari per l’Asia, di 7 dollari per gli Usa e di 8 dollari per l’Europa (il principale mercato di sbocco del gas naturale e del petrolio russo), mentre la produzione, hanno segnalato all’agenzia Reuters fonti “ben informate”, potrebbe passare dagli attuali 9,7 milioni di barili al giorno (a fronte di un tetto fissato a 10 milioni) a “circa 11 milioni al giorno”, rispetto ai 12 milioni di barili giornalieri di capacità estrattiva attuale. La risposta dei russi non si è fatta attendere: anche la compagnia petrolifera di stato Rosfnet sarebbe pronta ad aumentare fino a 300 mila barili al giorno la sua produzione “nell’arco di una o due settimane”. 

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Risultato: doveva anziché essere tagliata di 1,5 milioni di barili al giorno (che gli uomini di Goldman Sachs avevano già definito lapidariamente “troppo tardi, troppo poco” per sostenere i prezzi del petrolio in aprile e maggio a fronte del calo della domanda legata all’epidemia da coronavirus) la produzione mondiale salirà di altrettanto. I prezzi già oggi cadono del 18% circa a 36,8 dollari al barile (il Brent) ovvero a 33,9 dollari (il Wti texano). Una buona notizia, forse, per gli automobilisti di tutto il mondo, ma non per i conti delle compagnia petrolifere, specie quelle con costi di pareggio più elevati, tra cui proprio quelle russe ma non solo.

Eni, ad esempio, è passata da un break-even medio di 30 dollari al barile nel 2017 a 25 dollari al barile l’anno scorso e nel piano strategico a lungo termine al 2050, appena presentato, ha indicato di voler scendere a 20 dollari al barile, ma i produttori americani di shale oil, la cui produzione era già attesa in calo da 700 mila a 600 mila barili al giorno quest’anno e a soli 200 mila l’anno venturo, registrano anche sui nuovi progetti break-even ancora più elevati (sebbene in calo rispetto a qualche anno fa) a confronto di quelli dei giacimenti petroliferi “tradizionali”. Questo mette a rischio il debito, sempre più “junk”, emesso dai produttori stessi turbando ulteriormente il mercato.

Insomma: epidemia/pandemia in espansione, consumi in calo, rischio di default sovrani e privati “high-yield”/”junk” a loro volta in crescita. Gli ingredienti per una tempesta perfetta sui mercati azionari e obbligazionari sono ormai tutti presenti. Per cercare di evitarla le banche centrali stanno già scaldando i motori e dopo il taglio a sorpresa di mezzo punto dei tassi ufficiali americani si preparano a inondare il mercato di liquidità. Se basterà o meno lo scopriremo presto.

Luca Spoldi

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