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Economia
Tim-Open Fiber: addio rete unica. Draghi ascolta le perplessità Ue

Avevamo già segnalato che in Europa ci fossero parecchie perplessità sullo schema di rete unica con Tim che detiene una quota superiore al 50%. A Bruxelles già da qualche mese avevano iniziato a far notare che un gestore della rete non può anche esserne un player attivo, oltretutto se il più importante per quanto riguarda la telefonia fissa. Lo stesso ministro Giorgetti, pur nella sua idea di una rete unica a guida Cdp, aveva fatto capire di non essere granché incline a consegnare a un player attivo nell’infrastruttura e nei servizi la maggioranza assoluta di AccessCo.

Lo stesso Vittorio Colao, parlando di “neutralità tecnologica” aveva fatto intendere che la priorità era collegare tutte le zone, anche quelle bianche, con una connessione il più veloce possibile. E che la fibra per tutti, in tempi rapidi, avrebbe rischiato soltanto di fare da freno. Infatti, in molte zone d’Italia la Fixed Wireless Access consente di raggiungere quei 100 Mbit/sec che sono considerati obiettivo minimo per un’Italia digitale.

Finora Mario Draghi ha continuato a tacere, ma le anticipazioni fatte da Repubblica sulla parola “reti” e non più “rete” hanno fatto cadere anche l’ultimo velo. Dunque, il premier, che a Bruxelles è tenuto in grandissima considerazione, aveva già da tempo rilevato i dubbi dell’Europa – e della commissaria Margrethe Vestager su tutti – e stava cercando quale fosse la soluzioni migliore. La vicepresidente della Commissione non è di per sé contraria a un operatore verticale della rete, come aveva dichiarato in Parlamento europeo al deputato Ppe Weber. Ma evidentemente alcuni passaggi del progetto continuano a non convincere.

Il titolo di Tim sospeso per eccesso di ribasso dopo aver perso anche il 9% e poi riammesso agli scambi in calo di quasi sei punti percentuali è la testimonianza che anche gli investitori si sono convinti che con ogni probabilità l’idea di AccessCo come era stata immaginata rischia di non diventare mai realtà.

E ora? Al momento ci sono diversi fronti aperti. Fonti vicine all’ex-Sip raccontano di una società comunque tranquilla che ha provato a sparigliare le carte leggendo la bozza di Pnrr come reti fisse e mobili, così da legittimare il “plurale” indigesto. Ma servirebbe che Luigi Gubitosi prendesse posizione rapidamente e spiegasse se esiste un piano B o se invece Tim continuerà a credere contro ogni previsione alla possibilità di dare vita ad AccessCo.

A catena, poi c’è un altro tema: Macquarie, che nei giorni scorsi aveva concluso la trattativa per rilevare il 40% di Open Fiber da Enel sarà contenta di questo esito inatteso? Un conto è essere azionisti del 20% complessivo della rete unica in Italia, un conto è far parte di un conglomerato, di essere uno dei player della digitalizzazione. Le prospettive, dal punto di vista della remunerazione del capitale, cambiano drasticamente.

La stessa Macquarie che non più tardi di ieri ha dovuto rilevare, sul fronte Autostrade per l’Italia, la proposta del fondo Tci di spin-off della quota di Aspi detenuta dai Benetton. Fonti vicine al fondo australiano parlano di una serenità che difficilmente potrà essere intaccata, ma forse qualche domanda sull’opportunità di questi investimenti inizia a serpeggiare in Macquarie.

Una soluzione – riferisce una fonte qualificata ad Affaritaliani – potrebbe esserci, anche se un po’ macchinosa. Attualmente FiberCop gestisce la rete secondaria, ovvero quella che dall’armadio arriva fino alla casa degli italiani. Per il 37,5% di questa società Kkr aveva sborsato 1,8 miliardi di euro. Se però si conferisse in questa società anche la parte che dalla centrale arriva all’armadio, ovvero la cosiddetta Fttc, allora si potrebbe automaticamente chiedere un incremento di partecipazione da parte di Kkr o di altri operatori, o quotare in borsa la parte residua. Si verrebbe così a creare uno scenario simile a quanto avveniva ai tempi di Sip, quando l’Iri deteneva il 42% della società e il resto era flottante.

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