Esteri
Ucraina, Putin ascolta Xi e pensa all'exit strategy. Ma Biden vuole le armi
Dietro il discorso di Mosca e l'uscita da Start, il Cremlino sta valutando la possibilità di un negoziato sotto il pressing cinese. Ma gli Usa vanno in fondo
Biden a Varsavia allontana gli scenari negoziali, mentre si alza il rischio nucleare
"Gli autocrati capiscono solo una parola: no, no, no". Questa frase riassume perfettamente la posizione attuale degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina: non si fa la pace. Parole pronunciate dal presidente americano Joe Biden da Varsavia, in un atteso discorso declamato di fronte al palazzo presidenziale del paese europeo più assertivo contro la Russia. Pienamente in linea con le necessità degli Usa, disposti persino a dimenticarsi in toto le inclinazioni sovraniste e anti europeiste del governo polacco, entrato negli scorsi anni più volte in rotta di collisione con Bruxelles per leggi sulla giustizia e sui media.
Biden ha poi assicurato che "l'Ucraina non sarà mai una vittoria per la Russia", ribadendo che il trattato della Nato è "solido come una roccia". Un viaggio, quello del presidente americano, che serve per (ri)arruolare i partner europei parzialmente sedotti dalle promesse di negoziati e pace portati sul Vecchio Continente da Wang Yi, il capo della diplomazia cinese che è stato in tour tra Francia, Italia e Germania nei giorni scorsi. Canti di sirene, o meglio di dragoni, che sedurranno anche l'Europa (in prima linea di fronte a un conflitto che tra poche ore compirà ufficialmente un anno dall'invasione) ma non di certo gli Stati Uniti.
Sì, perché la Casa Bianca e il Pentagono non sembrano inclini a favorire qualsivoglia negoziato, quantomeno per ora. La sortita di Biden a Kiev prima e Varsavia poi serve semmai a fare il contrario: richiamare sull'attenti e rilanciare lo sforzo militare sul campo contro Mosca. La visione è chiara: darla vinta al presidente russo significherebbe aprire a possibili nuovi scenari di crisi nel futuro più o meno prossimo. Versione ottimistica, quella pessimistica fomentata da Mosca e Pechino è un'altra: gli Usa vogliono vincere una guerra per procura annichilendo la Russia e creando una spaccatura con la Cina.
Che cosa c'è dietro la voglia di armi di Biden, che fa saltare il flirt cinese con la pace
D'altronde, che agli occhi di Washington il primo rivale sia Pechino è fatto conclamato. Forse proprio per questo è arrivato il contropiede americano, poco prima che la Cina presentasse la sua proposta di pace. Nella guerra retorica tra le due potenze nessuno vuole far passare l'altro come colui che sta dalla parte giusta. Ed ecco le accuse, per ora non suffragate da fatti, di Antony Blinken sulla possibilità che la Cina rifornisca la Russia di armi letali. Ed ecco il viaggio di Biden a Kiev, proprio mentre Wang Yi si trova a Mosca.
Il viaggio del diplomatico cinese era stato presentato come una mossa di responsabilità della Cina che si faceva portavoce della voglia di pace dei paesi europei presso il Cremlino. Pur ribadendo che la responsabilità reale del conflitto è di Usa e Nato, dietro le quinte Pechino avrebbe voluto lavorare per arrivare a una fine della guerra. Non tanto per questioni di solidarietà, ma di opportunità. Mantenere la posizione ambigua mantenuta finora sulla guerra diventa infatti sempre più difficile, e questo rischia di alienare i rapporti di Pechino con l'occidente. Se quelli con Washington sono dati quasi per persi, quelli per l'Europa invece no. E anche l'Europa sembra corrispondere, Italia compresa, come dimostra la disponibilità a viaggiare in terra cinese non solo di Emmanuel Macron ma anche di Giorgia Meloni che sembrava essere la leader più ostile alla Repubblica Popolare.
Per Pechino sarebbe importante arrivare a un negoziato di pace il più presto possibile, per salvare gli equilibri ed evitare lo spauracchio di una caduta di Putin, che priverebbe Xi Jinping di un partner sempre più dipendente da lui e dunque di un possibile asset da utilizzare a livello politico. L'accresciuta dipendenza della Russia dalla Cina sta portando diversi vantaggi a Pechino, a partire dalle importazioni a prezzi scontati di petrolio e gas fino alla proiezione senza ostacoli in aree strategiche come l'Asia centrale e l'Artico.
Putin dà un segnale sullo Start, ma il rischio dell'allargamento del conflitto si fa più concreto
Gli Usa vogliono però impedire che questi vantaggi strategici sul fronte russo si tramutino persino in un'immagine della Cina come garante di pace e stabilità. Da qui la mossa della Casa Bianca che divide anche simbolicamente il mondo in due parti: chi sta con l'Ucraina (e dunque chi sta dalla parte "giusta") e chi sta con la Russia (e dunque chi sta dalla parte "sbagliata"). Un rischio calcolato, consapevole che Pechino non può permettersi di scaricare apertamente Putin, perché ciò avrebbe conseguenze nefaste sulla sicurezza cinese entro i suoi confini e sul "pianerottolo" di casa del Pacifico.
Quello che rischia di essere meno calcolato è invece quanto può accadere sul campo di battaglia. Putin ha dato un segnale sospendendo la partecipazione della Russia sul trattato Start, pur ribadendo che ne verranno rispettati i principi. Allo stesso tempo, però, il presidente russo ha ricordato la potenza atomica di Mosca. Anche qualora lo zar decidesse di ascoltare i "canti" negoziali della Cina, che freme per un negoziato che possa salvare il suo equilibrismo senza farle pregiudicare i rapporti con nessuno né alterare i rapporti di forza globali, il rischio è che si trovi di fronte a un approccio da muro contro muro da parte americana.
Il timore del Cremlino, e di Pechino, è che a questo punto gli Usa vogliano davvero arrivare al ribaltamento del sistema politico russo. Una sconfitta totale, quell'umiliazione che Macron ha detto più volte che sarebbe da scongiurare. Uno scenario che alza i rischi non solo sul fronte ucraino, ma anche sul possibile coinvolgimento cinese.
Di Lorenzo Lamperti